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Il Teatro degli Orrori: fenomenologia di una band criticata e fraintesa

È da poco in circolazione il quarto album, omonimo, di uno dei gruppi rock italiani più visibili e controversi degli ultimi anni. Parliamone, in modo più o meno trasversale.
A cura di Federico Guglielmi
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Di solito, al momento di iniziare un articolo, so già con la massima esattezza dove voglio andare (e, quindi, dove andrò) a parare. In questo caso, beh, non ne sono poi tanto sicuro. Sì, ma anche no. Facciamo forse, via. Colpa del mio rapporto “non lineare” con una band atipica, spiazzante, travolgente ma pure “disturbante” come quella capitanata da Pierpaolo Capovilla, fresca di pubblicazione sempre con il marchio La Tempesta di un nuovo album senza titolo – “Il Teatro degli Orrori” e basta, insomma – che a partire dal 22 di questo mese sarà portato in tour. In origine pensavo che a qualcuno avrebbe potuto interessare un mio circostanziato parere sul disco, ma ho cambiato idea dopo aver letto sulla pagina Facebook del gruppo l’assunto di tal Gianluca Ghezzi: “Le recensioni sono la cosa più inutile del mondo. Sono solo parabole onanistiche basate su gusti personali. Chi se ne frega cosa pensa un giornalista? Soprattutto a qualcuno che non ama spudoratamente la band”. Qualche commento in canna ce l’avrei, specie sulla chiusura del periodo, ma divagherei ulteriormente ed è meglio evitarlo; e allo stesso modo, non volendo buttarla in caciara, non dico che ognuno ha i fan che si merita. Metterei invece in risalto il fatto che Il Teatro degli Orrori, diversamente da quasi tutti gli artisti affermati, ha preso a condividere sulla bacheca di cui sopra le recensioni negative. Una vera anomalia che, a ribadire la predisposizione dei Nostri alle reazioni di segno diverso, si può interpretare in due maniere opposte: 1) dichiarare attenzione e rispetto per le opinioni altrui, cosa che non guasterebbe dopo la richiesta rivolta a Rockit – si era all’epoca del precedente “Il mondo nuovo” – di bloccare i commenti degli hater; 2) irridere i denigratori (della serie: “Scrivete quello che vi pare, non ce ne frega una ceppa”), aizzando al contempo i fan più esagitati contro il giornalista di turno. Voglio fortemente sperare che la verità collimi con l’1) e non con il 2), perché altrimenti sarebbe prova inequivocabile di suprema arroganza, ma figlia di una debolezza caratteriale ugualmente suprema.

Mi sono espresso più volte sulle testimonianze del percorso musicale di Pierpaolo (tutto attaccato, non come Pasolini), già quando guidava gli eccellenti One Dimensional Man e cantava in inglese. Ho poi commentato in termini lusinghieri “Dell’impero delle tenebre”, il disco che nel 2007 ha dato il via all’avventura del Teatro, e apprezzato parecchio il successivo “A sangue freddo”, tanto da realizzare una lunga intervista con il frontman. Frontman che, lo ricordo bene, avrebbe in origine voluto eludere la conversazione a voce e orientarsi sull’email, perché in passato il suo pensiero non era stato (da altri) riportato correttamente; forte di centinaia di adattamenti di chiacchierate che nessuno aveva mai contestato, rifiutai la soluzione di ripiego e Capovilla si persuase al colloquio. Alla fine gli chiesi se avesse voluto leggere l’articolo prima che uscisse, ma lui rispose di no e, dopo, non ci furono rimostranze. Infine, nel 2012, non fui morbidissimo sul terzo capitolo “Il mondo nuovo”, ironizzando soprattutto sul “personaggio pubblico” che Pierpaolo era (in?)volontariamente diventato. Ma non c’era cattiveria, tutt’altro, e ci rimasi un po’ male quando, al Medimex di Bari (dove, per di più, gli avevo appena consegnato un premio), mi manifestò – in modo civilissimo, peraltro – il suo disappunto per le mie critiche. Se l’era presa particolarmente, mi disse, per la storia della scorreggia contenuta nell’incipit: “Diffidare almeno un po’ di vati e profeti dovrebbe essere un imperativo categorico, tanto più in questi giorni dove una scorreggia riesce – anche se per pochi attimi, per fortuna – a fare il rumore di una bomba: sono in troppi a spararle gross(issim)e, a fingere di essere ciò che non sono, a cavalcare l’idiozia di coloro che, bovinamente, seguono gli hype montati ad arte da piccoli Malcolm McLaren wannabe”. Se ne parlò un minimo e credevo – lo credo tuttora, in verità – di averlo convinto che volessi solo porre in evidenza, oltre al fatto che il disco non mi convinceva, il rischio concreto che il successo che stava riscuotendo gli desse alla testa. Apprezzare nel complesso un artista non significa azzerare la propria sensibilità e lodare in automatico ogni sua azione, no?

Il nuovo album omonimo, uscito undici giorni fa, lo avevo ascoltato un’unica volta a settembre grazie a uno streaming per la stampa, rimandando ogni approfondimento a quando mi fosse andato o a quando le esigenze professionali l’avessero reso necessario. L’ora è arrivata stamattina e immaginate il mio stupore quando, arrivato al penultimo brano “Sentimenti inconfessabili”, le mie orecchie hanno colto questo ruggito istrionico: “C’è pure Federico / quel tignoso di un laziale / che scorreggia recensioni”. Dovrei dedurne che al Pier la scorreggia del 2012 deve essere andata per traverso, ma al di là di tale dettaglio la prendo benissimo. Anzi, mi scopro persino divertito, come il Riccardo Bertoncelli citato ne “L’avvelenata” di Guccini. Poi, come la mia indole impone, passo all’analisi. Ok, sono fra i presenti alle esequie di Capovilla (la canzone è su questo tema), improbabile perché detesto i funerali convenzionali, ma ci può stare; gustoso il citazionista “che scorreggia recensioni”, che mi rende pan per focaccia usando le mie stesse parole; magnifico il “tignoso”, che nella sua accezione più classica di “pignolo” e “caparbio” è in piena sintonia con la mia visione di me stesso. Come la mettiamo, però, con quel “laziale”? Dubito che il Pier mi conosca così bene da sapere che, da tifoso autentico della AS Roma, darmi del biancazzuro mi ferisce tanto quanto eventuali illazioni sulla moralità della mamma; propenderei, dunque, per la saggia scelta di non menzionare una seconda volta l’Urbe, dato che quando tre anni or sono l’aveva fatto in “Io cerco te” – cito: “Roma capitale sei ripugnante / non ti sopporto più” – era stato sommerso di polemiche pretestuose e superficiali.

Credetemi, mi auguro davvero che Pierpaolo volesse essere ironico e non offensivo, perché proprio l’ironia – quella caustica, ma non troppo esplicita – è una delle armi più efficaci dei suoi testi; mi piace assai quando è sardonico, e assai meno quando è diretto e, scagliandosi apertamente contro qualsiasi cosa, passa inevitabilmente per populista. Poi, come negarlo?, è molto preso dal ruolo di intellettuale illuminato che – con la sua complicità, ovvio – in tanti gli hanno cucito addosso, ma fa parte del gioco e mai e poi mai lo condannerei per questo. E per la cronaca, a me il nuovo lavoro sembra più riuscito del precedente, tanto sul piano musicale (è sempre ricco ma meno denso, sempre vario ma in generale più coerente) quanto su quello poetico, benché la verbosità e il pericolo che certi assalti verbali vengano interpretati come provocazioni sterili e opportunistiche siano sempre in agguato. E qui si può chiudere. D’accordo, una Fenomenologia – in riferimento a Georg Wilhelm Friedrich Hegel: “Esplorazione dei fenomeni come mezzo per cogliere lo Spirito Assoluto che è dietro il fenomeno”, grazie Wikipedia – avrebbe magari potuto essere più “scientifica”. Vedrete, però, che le occasioni per tornare sull’argomento, un giorno o l’altro, non mancheranno.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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