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I trent’anni dei Sick Rose

Traguardo invidiabile per la garage band italiana forse più nota fuori dai confini nazionali, benché “solo” nel giro degli appassionati più attenti. A rimarcare le ricorrenza, un concerto speciale e un’uscita discografica.
A cura di Federico Guglielmi
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Lo scorso 16 novembre, nei locali dello Spazio 211 della loro Torino, i Sick Rose hanno festeggiato il trentesimo compleanno con alcune centinaia di vecchi e nuovi fan. Non sono tre decenni effettivi, perché per qualche anno il gruppo ha vissuto in animazione sospesa e per un altro tot ha operato in modo non continuativo, ma non sottilizziamo: conta che nel 1983 dei ventenni si trovarono in un garage per suonare del r’n’r e che oggi, cinquantenni, non abbiano perso la voglia di farlo… e chi se ne frega dei capelli in meno e degli eventuali chili in più, quando si sa di essersi divertiti scrivendo in parallelo una pagina di storia (“minore”, ma pur sempre storia), di aver lasciato eccellenti testimonianze del proprio passaggio e soprattutto di avere scolpito nella memoria e nel cuore mille emozioni? Per lo scalmanato party dei Sick Rose c’erano  il cantante Luca Re e il chitarrista Diego Mese, unici superstiti dell’organico originario, e i loro ultimi, più giovani compagni d’avventura, ma c’erano anche tutti coloro che hanno contribuito affinché la piccola leggenda diventasse tale: chitarristi, tastieristi e assortite sezioni ritmiche ad avvicendarsi sul palco, per affermare con orgoglio di esserci stati e di esserci ancora.

Si ponga il freno alla retorica e alla nostalgia canaglia e si dica che i Sick Rose, nome rubato a una poesia di William Blake, sono stati da subito una delle punte di diamante del fenomeno che nella prima metà degli ‘80 riportò in auge in tutto il mondo (rock) i suoni, il look e l’immaginario degli anni ‘60 legati al garage punk e alla psichedelia: da New York alla California, dall’Australia alla vecchia Europa, fu tutto un (ri)fiorire di capelli a caschetto e camicie sgargianti, incensi e acidi, chitarre fuzz e organi Voxx o Farfisa, Sonics e 13th Floor Elevators. Un tornado che non guadagnò le prime pagine dei quotidiani ma quelle delle riviste di musica sì, esaurendo piuttosto in fretta la fiammata iniziale ma facendo sentire parecchio a lungo i suoi strascichi. In bilico fra “revival” e “recupero creativo”, l’ondata neo-Sixties fu in ogni caso una benefica via di fuga dal troppo synth-pop che monopolizzava le classifiche dell’epoca. Chiamata a raccolta dalla compilation “Eighties Colours”, pubblicata dalla Electric Eye dell’allora condirettore di “Rockerilla” Claudio Sorge, la nostra scena crebbe e fece via via la sua parte anche a livello internazionale, usando come ariete l’ensemble torinese. Baciati da un bel successo di culto principalmente in Germania (con relative esibizioni), ma conosciuti e stimati nell’intero circuito, i Sick Rose sono considerati ovunque gli alfieri del “movimento”, divisione tricolore: quando c’è da citare un solo gruppo italiano sono inevitabilmente loro, con buona pace dei pur ottimi Birdmen Of Alkatraz, Steeplejack, Allison Run, Magic Potion, Effervescent Elephants o No Strange con i quali illo tempore si contendevano il poco spazio sotto le luci (stroboscopiche) della ribalta.

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Buona parte della discografia della band, che consta di sei album veri e propri e di un po’ di realizzazioni di contorno, è oggi reperibile in CD grazie all’impegno produttivo e distributivo dell’etichetta Area Pirata, che ha approfittato della lieta occasione per ristampare “Blastin’ Out” del 2006 – il lavoro del ritorno all’insegna del power pop, frutto dalla collaborazione in studio con l’australiano Dom Mariani – aggiungendovi un secondo compact. Non un “greatest hits” bensì un “best of” che in diciotto tracce condensa il periodo dal 1985 del 45 giri d’esordio “Get Along Girl” al 1992 della provvisoria separazione: quindi, episodi dal primo 33 giri “Faces” (1985), dove domina l’impronta garage, e dal suo non meno valido successore in chiave più hard “Shaking Street” (1989), fino ad arrivare ai più canonici ma sempre incisivi “Floating” (1990) e “Renaissance” (1992) passando per il doppio singolo “Double Shot” e una cover dei Plimsouls apparsa in un tributo alla compagine californiana. Brani che continuano a trascinare e appassionare con la loro forza d’urto e la loro genuinità, soffiando via la polvere che cerca di posarsi su di essi con la stessa, gioiosa naturalezza con la quale i Sick Rose hanno spento le loro trenta candeline. Auguri sinceri.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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