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Gentlemen’s Agreement: il tropicalismo finanziato col baratto

Creare un concept album sull’alienamento della fabbrica senza spendere un euro, ma basandosi sulla pratica del baratto. È quello che hanno fatto i Gentlemen’s Agreement per il terzo lavoro “Apocalypse Town”
A cura di Francesco Raiola
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Gentlemens-Agreement-Apocalypse-Town
I Gentlemen's Agreement

"Apocalypse Town", il nuovo album dei Gentlemen's Agreement, comincia e finisce con una sveglia (più o meno materiale) che assume due valenze differenti, ma che rendono perfettamente la circolarità dell'album e il concetto di tempo, che assieme a quello del lavoro e della fabbrica, sono l'asse portante di questo terzo album della band napoletana. Un concept album, come già successe per il precedente "Carcarà" e proprio in quello trova le basi per proseguire il proprio percorso musicale. Un percorso all'insegna del tropicalismo e di Tom Zé, come ha ammesso durante la conferenza di presentazione dell'album, il leader della band Raffaele Giglio. La genesi di quest'album, poi, è particolare così come l'idea alla base del disco. Sì, perché per "Apocalypse Town" la band non ha speso un euro, sfruttando al massimo la pratica del baratto.

I 5 Gentlemen's infatti hanno cominciato la loro avventura con uno scambio, ovvero ristrutturando con le proprie mani una delle sale dello studio di registrazione SudEstudio di Campi (Lecce) di Stefano Manca, in Puglia, in cambio di un mese di registrazioni e da lì è stata una catena che in qualche modo ha ispirato tutta la poetica dell'album, che narra la vita di un operaio da quando si sveglia per andare a lavorare fino al momento in cui decide di mollare tutto, rallentare e godersi la vita. La band ha fatto così, ha rallentato, è tornata dalla Puglia, ha chiesto ospitalità ad un locale di Napoli, il Lanificio 25 di via Carbonara e lì ha vissuto barattando l'affitto con la direzione artistica del locale stesso. Ovviamente anche il packaging rispecchia fedelmente l'idea della band ed è fatto da un artigiano locale (la tipografia "Resistenza artigiana" di Carmine Cervone) così come la scelta dell'etichetta, ovvero la Subcava Sonora che è la prima etichetta ad aver abolito la Siae, pubblicando tutto in Creative Commons.

Un'idea innovativa per una band che non ama sedersi su ciò che ha costruito in precedenza, per questo all'esordio "Let me be a child" tutto folk e country è seguito "Carcarà" che si rifaceva alla samba, alla bossanova, al tropicalismo e al sound africano, passando allo swing dell'EP "Da…da… da quando ci sei tu" fino a questo quarto lavoro che spinge un po' più in là l'internazionalismo (cantato in italiano) di una delle band più poliedriche che abbiamo. "Quando lavori con questo sistema, guardi tutti in faccia, crei un contatto" hanno spiegato i ragazzi a margine della presentazione e così si riesce a creare il miglior rapporto possibile con chi ti accompagna durante un viaggio. Tutti coinvolti, quindi tutti responsabili del progetto.

Un rischio, però, c'è – probabilmente calcolato – ed è quello che il "caso" possa in qualche modo schiacciare la bellezza di un album che merita un ascolto scevro da qualunque sovrastruttura. Perché se è vero che "Apocalypse Town" è un unicum, come spiegato, è anche vero che è il terzo album di una band che ama la musica e che si è innamorata del Sudamerica ma anche dell'industrial che si materializza in strumenti come trapani e lucidatrici, rullante con frenomacchina e macina bulloni, oltre a una serie di strumenti creati ad hoc con l'aiuto di Peppe Treccia.

"La sveglia esplode la mattina alle tre, un altro sogno demolito in un istante. Ti guardi intorno però i sole non c'è! Il mondo al neon è molto meno interessante. La grande fabbrica… con la sua voce da gigante. La grande fabbrica sarà la tua divinità". Comincia così l'album (anzi, per la precisione con un #Leitmotiv, che rispecchia man mano la consapevolezza del protagonista del disco), che descrive la durezza del lavoro da catena di montaggio, esplicata da "Il milione", che spiega l'impossibilità di sognare di chi lavora da tempo in quel meccanismo. "Dire direttore" è il primo singolo dell'album, scandito da una macchina da scrivere, in cui si sente l'ironia verso "il capo" e l'amore della band per il Sudamerica. Un amore che continua in versione più malinconica in "Rumore su rumori", dove il rumore della fabbrica copre anche quello del cuore. È questa la canzone della consapevolezza, però, che si esplica in "Mordi! Prendi! Vivi!" ovvero il pezzo che omaggia i Velvet Underground ("Run Run Run")  e in cui l'operaio decide di scappare e infatti il secondo #Leitmotiv è la consapevolezza – tutta rinchiusa nel sitar di propria invenzione –  seguita da "KABOOM! Chiude la fabbrica" di cui il titolo di quasi tutto ("Sai, questo è un tempo un po' anormale, si regredisce per creare). Dopo "I piedi lo sanno" arriva il leitmotiv del risveglio e "Adeus" che è un inno alla libertà e (ancora una volta) ai suoni brasiliani. Le ultime due canzoni sono "Come l'acqua" ("Siedi, viv, prendi il tuo tempo, non l'hai fatto mai") e "Il tempo del sogno" (un po' caposseliano) prima dell'ultimo leitmotiv dedicato all'Evoluzione.

La curiosità, onestamente, è capire come suonerà un album come questo live e come si intersecheranno i brani degli album precedenti. Un primo assaggio ci sarà il 12 aprile, quando la band presenterà "Apocalypse Town" al Lanificio 25, per proseguire il 19 aprile al Geko di S. Benedetto del Tronto e il 26 aprile all'Auditorium di Scafati.

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