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Tiziano Ferro a Fanpage: “Canto paternità, omosessualità e depressione perché racconto la mia vita”

Tiziano Ferro racconta a Fanpage.it il suo album “Il mondo è nostro” che uscirà il prossimo 11 novembre.
A cura di Francesco Raiola
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"Il mondo è nostro" è il titolo che Tiziano Ferro ha scelto per il suo nuovo album che uscirà l'11 novembre. Un mondo cambiato in questi pochi anni a causa della pandemia e un mondo cambiato per lo stesso cantante che in questi 20 anni di carriera ha attraversato, tra le altre cose, il successo, la depressione, il coming out, la paternità, in cerca continua di un equilibrio continuo. Un album che lo vede nelle vesti oltre che di cantante anche di autore principale e produttore. Autore e produttore, lo ripetiamo, perché Ferro ci tiene molto a sottolinearlo: quello sullo scrivere canzoni è anche uno dei versi più divertenti di un album che non manca il mettersi in gioco completamente a livello biografico. Ferro usa la sua vita come arma politica e sociale, dalle difficoltà di essere padre in quanto omosessuale ("Neanche ti sognavo perché ti negavano a chi è come me…"), dalla notorietà cercata di vivere nel modo più sano possibile, dalla depressione che ha affrontato e di una vita che pareva sfavillante e trasportava con sé ("Immagini di quando ultimamente raramente ho vinto. E camminiamo, camminiamo col nero dentro e il cuore in faccia"), della mitizzazione dei personaggi famosi, ma anche di un po' di egotrip ("L’ipocrisia è la tua arte, la ammiro, starei a disquisirne per ore… ma ho tre sere a San Siro"). Anche musicalmente l'album è molto variegato, non che la cosa sia particolarmente una novità, dal momento che il cantautore alterna ballad a pezzi più elettronici, con il suo amore per il rap che esce fuori anche grazie alla collaborazione con Caparezza. Anche i feat sono tutti ben studiati, da quello con Ambra Angiolini che diventerà culto (e immaginiamo anche nelle versioni live), a quelli con Roberto Vecchioni, Sting e quella, nota, con thasup che Ferro considera un genio.

Partiamo dal verso che apre l’album: “Io non sono nessuno, lo so già dal principio”…

Canto "Io non sono nessuno lo so già da principio e non me lo dimentico", anche perché penso che nel momento in cui interrompi la ricerca di te stessi finisce il divertimento, non sai più cosa fare, cambi mestiere. Mi atterrisce l'idea di sentirmi qualcosa, anche banalmente nella vita di tutti i giorni: che tipo di compagno, di padre e di amico sono? Io spero di essere in evoluzione su questo, cioè non credo nella perfezione, credo nell'evoluzione. Mi piace cominciare un disco così perché viviamo in un secolo nel quale non è chiaro che non siamo nessuno: tutti pensano di essere tantissimo, sempre, la società dei social media sicuramente ha creato una grande confusione sotto questo punto di vista, quindi ho detto: mettiamo in chiaro questa cosa, io non sono nessuno, non sto per dirti nulla che può cambiarti la vita, questa è la mia storia, ti può non piacere, puoi non condividerla, però è intoccabile in quanto tale, perché esiste.

Sembra l'album di un uomo che nonostante il successo si vedeva soprattutto come uno sconfitto, era questo che pensavi di te?

È troppo facile parlare del fatto che il successo sia una cosa effimera, sia una cosa che non vale niente e poi adagiarsi su di esso, invece io l'ho sempre pensata così: secondo me il successo è una cosa effimera e non definisce la persona, ma non definisce neanche l'artista. Se tu hai qualcosa da dire e da dare, ahimè, non puoi misurare la capacità di essere in grado di farlo in base al successo, perché il termometro è sempre poco credibile. Devi misurarti con te stesso, devi capire tu se stai dicendo la cosa che volevi, se lo stai dicendo nella maniera giusta, bisogna assolutamente sostenere il fatto che il successo in quanto tale non sia il barometro della realtà.

Quando hai capito che avevi materiale per un album tra le mani?

Era il 2020, iniziavano i deliri del mondo e sinceramente una delle prime cose che ho pensato è stata che l'arte e l'artista sono il salvagente degli umori del mondo. Gli artisti sono nati per rompere gli schemi, per dichiarare delle situazioni, per denunciare, poi, però, l'artista ha iniziato a diventare qualcosa di privilegiato, una sorta di specie protetta, sporcarsi le mani non è stato più necessario, perché la civiltà aveva superato il bisogno dell'arte di andare a rompere le regole. Poi è arrivato il 2020, che ha richiamato sull'attenti chi si sentiva in dovere di fare qualcosa: e l'artista deve fare quello, deve scrivere, quindi per me è stato un periodo di grande ispirazione. Certo, non è bello dire che che sia stato un periodo di ispirazione, è chiaro che è stato un periodo complesso, però è stato uno di quei periodi nei quali mi sono sentito di dover fare il mio mestiere al massimo. Perciò questo disco è uscito fuori in maniera molto organica, molto istintuale, molto più di tante altre volte, perché probabilmente c'è stato anche un senso di responsabilità abbastanza grande nei confronti del guardarsi allo specchio e mettersi a disposizione, nelle canzoni, il più possibile. Perché se non fai quello, a che serve la pagina vuota?

A te è servita anche a mandare messaggi: cosa ha voluto dire parlare di depressione e salute mentale?

Io non so fare propaganda, non sono un sociologo, non so parlare di nulla, so parlare della mia vita però, quella la conosco, anche troppo bene. La mia psicologa dice che sono molto in contatto con il mio inconscio, che è una cosa buona, quindi non scelgo argomenti e ne parlo, ma la mia vita automaticamente diventa una sorta di viatico per chi ha voglia di capire, per poter criticare, per potersi trovare e per potersi mettere in gioco. Quindi ho parlato di me, sempre, perché è qualcosa che conosco: può piacerti chi sono, puoi odiarmi, condividere le mie scelte o disprezzarle, però non le puoi toccare perché sono le mie. Così ho parlato di salute mentale, parlo di appartenenza a quello che il mondo decide possa essere normale, convenzionale, nella famiglia, nella propria direzione sentimentale, parlo di paternità, parlo di difficoltà e di fragilità, anche perché credo che la fragilità sia il luogo migliore per crescere, per migliorare.

La tua paternità diventa anche strumento per denunciare un mondo che non voleva che, in quanto omosessuale, diventassi padre: come hai trasformato la tua vita in messaggio sociale?

Non mi sento nessuno, però se la mia vita, le cose che faccio possono diventare un piccolo spunto di riflessione ne sono felice. Non c'è una maniera giusta o sbagliata, se io sono convinto, riesco a trasportare quel messaggio. Penso a quando più dieci anni fa si parlava di coming out, io stavo male con me stesso, non mi accettavo, ma nel momento stesso in cui mi sono accettato è stato molto semplice parlare agli altri. Per la paternità è stata la stessa cosa, c'è questa canzone che si chiama "La prima festa del papà" che, nonostante il titolo, parla di miracoli, di opportunità: il giorno della festa del papà mio padre mi ha mandato un messaggio di auguri e a parte la potenza di questa cosa, c'è un padre che fa gli auguri a te, figlio, quello che mi colpì fu una sensazione strana di disagio, come di sentirsi fuori luogo. E mi sono reso conto che era quella parte del mio inconscio che era atrofizzato nell'idea che non poteva essere così, nonostante i figli fossero già lì io ancora non mi sentivo all'altezza, non sentivo ancora di potermi meritare quella condizione così l'ho messo in una canzone, è stato un momento di epifania. Non so come si fanno queste cose, però appena mi succedono e mi sento libero, la prima cosa che faccio è scriverlo in una canzone, poi se diventa qualcosa per qualcun altro, meglio.

"L’ipocrisia è la tua arte, la ammiro, starei a disquisirne per ore… ma ho tre sere a San Siro” oppure “Tu non ne scrivi di canzoni perché non t’innamori e se la scrivi come minimo è con altri cinque autori”…

Ma anche sette! (Ride, ndr)

Appunto, quindi cambiamo argomento, parliamo di punchline. Quanto ti piacciono?

Diciamo che in "Il Paradiso Dei Bugiardi" parlo di odiatori e hater, quelli che molto facilmente trovano serenità nei confronti dell'insulto, dello sgambetto pubblico, una cosa che io non sono mai riuscito a fare, nonostante abbia tutti i mezzi per poterlo fare: ho le capacità intellettuali, intellettive, conosco l'italiano, ho una piattaforma molto ampia di persone, eppure non ci riesco. E non riesco mai neanche a rispondere.

Come mai?

Un po' è una scelta dettata dall'educazione – mio padre mi ha sempre insegnato questo -, un po' perché non mi va di scendere di stile a livello formale, perché molto spesso queste persone sono volgari. Invece, se riesco a dire delle cose e a trovare una forma elegante, anche il dissing diventa possibile. In realtà la prima frase che citi è il risultato un po' della crisi dell'aftershock della conquista dei social media nella vita di tutti.

In che senso?

Fino a cinque, sei anni fa, i social media ci stavano quasi convincendo che i follower erano il metro di giudizio: se sei tanto seguito allora hai successo, ti stanno ascoltando, sei forte. Poi ci siamo resi conto che un video, un clic e un follower sono anche qualcuno che ascolta, guarda e spia per curiosità, per prendere in giro il personaggio, perché lo odia, perché lo vuole veder cadere. Abbiamo cominciato a renderci conto che non è detto che milioni di follower voglia dire poter suonare negli stadi, perché quello, invece, richiede un gesto di partecipazione più reale, più vero. Bisogna acquistare il biglietto, prendere un impegno e poi andarci, insomma, adesso si inizia a intravedere la verità. Però ammetto che prima di intravedere questa verità un po' ho sofferto, perché ho perso la bussola.

Poi cosa è cambiato?

È successo che passano gli anni, arriva il 2020, io sono l'unico a non rimandare al 2022 i concerti, all'epoca non potevo dirlo ma sapevo che sarebbero arrivati questi bimbi e volevo dedicarmi a fare il papà e ovviamente ho dovuto mettere, come giusto, i biglietti in restituzione, e praticamente nessuno li ha restituiti. E allora lì mi sono guardato allo specchio e ho detto: "Tiziano, però tu devi ritornare un pochino alle basi, perché ti stai facendo confondere. Basta, basta questo rumore. E per questo è nato quella frase, h0 detto: sì, sì, sì, ok, tanto bla bla bla, tanto gossip etc, ma io qui ho delle persone che da tre anni mi aspettano per tre sere a San Siro e mi sto perdendo nel guado di cose molto meno concrete. Quindi è una frase che ho tirato addosso me stesso.

Quindi un po' di egotrip ci sta!

Sai cosa? Io non mi sentivo di essere all'altezza del mondo dei social media, degli influencer, degli streaming perché il pop è fuori da quel mondo e quindi inevitabilmente mi sono sentito da meno e mi ci sento ancora eh! Però ho preferito concentrarmi sulla mia verità, su quello che per me è vero, piuttosto che su un campionato che non è il mio.

La frase sui cinque autori, invece, chiarisce quanto tu ci tenga a rivendicare di essere autore, interprete e produttore di questo disco…

Secondo me è come al solito una questione di qualità e di quantità: cioè è chiaro che se tu lavori con un team di persone in bolla su un progetto e tutti sono necessari a quel progetto, cinque autori possono essere meravigliosi. Il problema è che sappiamo benissimo cosa accade nel pop odierno.

Cosa accade?

Accade che si raccolgono dei brani e che spesso un interprete chiude una canzone finita con un piccolo accento e firma un brano del quale non è effettivamente parte della genesi, del pensiero, del messaggio centrale, della melodia che fa da inciso. Questo è un mestiere reale, duro, che fanno un sacco di autori che rimangono nascosti e che lavorano a favore di tanti interpreti che pensano che essere interprete sia una cosa da meno, così si firma. Mi va benissimo, però chiamiamo le cose con i loro nomi. Io non ho alcun problema, anche io ho scritto con 4 o 5 autori ma l'importante è farlo perché c'è bisogno di confronto, non perché da soli non sei capace e allora ti devi costruire un castello di carta: è per quello che io tento di provocare il dialogo: avere bisogno di quei cinque, sei autori, perché in realtà non ti innamori, perché non hai dentro quello che ti porta a scrivere una canzone è diverso dallo stare seduto a tavola con il mio migliore amico, che è Roberto Casalino, uno dei più grandi autori di musica odierna, e altri musicisti e divertirsi a scrivere una cosa che poi diventa "Non ti scordare mai di me" di Giusy Ferreri. Questa è un'altra storia, per cui la provocazione è parte della musica, ogni tanto è giusto farla anche se probabilmente non serve a niente.

Hai detto che hai spostato il tour al 2023 per vivere meglio la paternità: questa cosa ha influito sul tuo rapporto con la musica?

In realtà cambiamenti di concetto non ce ne sono, ho sempre avuto un rapporto abbastanza sporco con la scrittura, cioè per me imbellire quello che devi dire è noioso. Non ho mai insegnato scrittura, ma ho lavorato con molti autori giovani, ho firmato degli autori da editore e l'unica cosa che dico loro è di non imbellire mai, di non cercare di poeticizzare un messaggio, perché lo perdi. Per cui no, quello non è tanto cambiato, però mi è dispiaciuto aver dovuto spostare al 2023 il tour senza poter spiegare al momento la ragione, quello lo ammetto.

Sei diventato uno di quei genitori che parla solo dei figli?

Recentemente ho sentito dire a Baglioni che se fai l'autore di canzoni e hai figli inevitabilmente scriverai una canzone su di loro, e ci sta. Però io posso dirti con grande certezza che non sono uno di quelli che appena incontra qualcuno spiattella foto e video dei figli. I miei figli non sono dei geni, almeno fino a quando non lo saranno realmente, magari se avranno una laurea ad honorem ad Harvard ve lo farò sapere (ride, ndr)… Però su questo mi mantengo abbastanza discreto anche se devo dire che non è facile: non lo è perché comunque avrei voglia anche io di postare i primi passi di mia figlia o la prima candelina di mio figlio, però è come quando venivano degli amici a casa tua e tua mamma mostrava le foto di te da ragazzino facendoti vergognare. È un po' la stessa cosa: io non voglio proporre questo ai miei figli in scala globale e poi permanente, però faccio un po' di fatica, vorrei non fosse così, ma mi rendo conto che la cosa più giusta.

Resteranno nelle canzoni…

Per ora sì, dai, fino a quando loro non mi chiederanno il contrario.

Ti chiedi cosa faranno quando ascolteranno le tue canzoni e scopriranno certe cose della tua vita?

Forse è uno dei miei timori più grandi, perché loro cresceranno in un ambiente, quello di Los Angeles, nel quale scrivere canzoni è un mestiere come tanti, ci si vive, chi meglio, chi peggio, è un mestiere rispettato, però finisce lì. Quando saremo in Italia, però, magari si chiederanno come mai un estraneo vuole fare una foto con papà e questa cosa mi fa un po' paura, anche se poi tutto diventa normale, la realtà rende le cose normali. Quando io non sono a casa, Victor fa vedere loro moltissime esibizioni e video miei e mi fa tenerezza perché chissà loro che penseranno. Per ora vedono solo il loro papà vedono me, la sovrapproduzione di un video, di un palcoscenico, non li stupisce e questa cosa mi consola.

Prima degli stadi un bel Sanremo non ci starebbe bene?

Ma tu dici in gara?

Certo.

Io sono molto ansioso (ride), l'idea di far ascoltare per la prima volta una canzone dal vivo, a tutti, sapere che quell'esibizione è quella in cui tutti ascolteranno la canzone per la prima volta devo dire che mi genera un'ansia che potrebbe manomettere la riuscita dell'esibizione. Quello è il problema numero uno, per adesso non me la sento.

Esiste la paura di non vincere?

No, no, secondo me la vittoria a Sanremo non deve essere né l'obiettivo, né il contrario, alla fine è tutta una temperatura di mini voti che si sposta. Il posizionamento non è importante, l'importante è farlo veramente bene. Ecco, quando mi esibisco in un mio concerto mi sento bene, perché so che le persone hanno scelto di essere là per me e mi sento accolto, mi sento perfetto, anzi, mi sento imperfetto, sbagliato, però voi, nonostante tutto, volevate star qua e questa cosa mi rende forte. La televisione in generale, ahimè, ancora non mi vede vincitore, tiro un dado e vedo come va quella sera.

Mi parli un po' di queste collaborazioni?

È un disco stracolmo di collaborazioni perché le amo, soprattutto quando sono fan degli artisti, e avendo spesso il privilegio di avere il contatto diretto con loro provo a chiederglielo. Lo faccio come se fossi un ragazzino di dodici anni, l'ho fatto con Ambra – che ha creato un nuovo concetto di fanatismo nell'Italia degli anni 90 – che ha scelto me come per tornare davanti a un microfono per un pezzo inedito e sono molto orgoglioso di questo, anche perché secondo me dovrebbe continuare a farlo. E il fan sicuramente si è espresso molto quando ha chiesto a Caparezza di cantare una strofa su un tema del quale nel 2020 si è parlato molto: l'autocompiacimento, il lamentarsi, il non sentirsi mai grati di quello che si ha e vedere soltanto quello che non si ha. Volevo sentire la sua e lui ha scritto una strofa paurosa, che se fossi stato in lui avrei tenuto per me, perché è talmente bella che non l'avrei data a qualcun altro, ma ormai me l'ha data… Poi c'è Roberto Vecchioni in un pezzo molto sarcastico sul tema del mitizzare un artista che in realtà si sente fragile, stropicciato, sfatto, finito, sfinito e che non risponde all'aspettativa di chi invece lo vede come qualcuno che sa. È una presa in giro sicuramente a me stesso, ma è una canzone nella quale ho chiamato un mito, qual è Roberto Vecchioni, che ha trattato il tema con l'intelligenza, il sarcasmo, del quale ovviamente è in grado.

E poi c'è Sting…

Sì, c'è Sting. Cioè Sting che ha scelto me, nel senso che tramite un amico comune scoprii che lui stava ascoltando un mio disco e si creò questo contatto molto surreale: lui mi chiese se avessi avuto piacere di scrivere in italiano la mia strofa su questa canzone che parla della fatica nell'amore, degli sforzi reali, dello sporcarsi le mani, rompersi le ossa, perché i rapporti d'amore non sono soltanto faticosi a livello dell'anima, ma sono fatti di debiti, di economie, di stipendio, di malattie, di mediazione, di pazienza, di delusione. Mi ha chiesto di andare dritto al sodo, cosa che per me è forse la cosa più facile da fare, quindi ho accettato il suo invito, non avrebbe potuto essere altrimenti e infatti nel disco ho voluto scrivere "Sting con Tiziano Ferro".

Infine ThaSup, forse la meno attesa, no?

tha Sup per me è il Supremo e rimarrà sempre supremo. È un genio, è colui che la musica aspettava da diversi anni. Ha usato la porta della Trap semplicemente per entrare, ma lui non è un artista trap, è uno che rompe gli schemi, che scrive delle melodie bellissime, che fa bella musica e che parla secondo quello che dicevamo prima, senza poetizzare qualcosa che lui racconta esattamente come esce fuori dai suoi neuroni e dalla sua pancia. Parlare con lui è stato commovente: gli ho scritto io su Instagram perché quello che faceva secondo me era troppo avanti e ho trovato un ragazzo molto sensibile. Il fatto che un ragazzo a 25 anni scelga, in un mondo come questo, di non far mai vedere il suo volto, dice già tutto di questa persona e poi ogni tanto parlare con lui mi fa pensare a me alla sua età, sarà l'accento romano, quello che dice, come lo dice, però è stata una sorpresa nella sorpresa. E lui è molto di più di quello che sa di essere e lo scopriremo ben oltre questo album.

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