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Festival di Sanremo 2022

Dargen D’Amico oltre l’Apocalisse: “Senza aggregazione stiamo abbandonando i giovani a se stessi”

Dargen D’Amico è stata una delle sorprese del festival di Sanremo con “Dove si balla”. Fanpage lo ha intervistato per chiedergli di pandemia, Sanremo e del prossimo album.
A cura di Francesco Raiola
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Dargen D'Amico è arrivato sul palco del Festival di Sanremo separato tra chi lo venera come uno dei padri dell'hip hop italiano e chi non aveva idea di chi fosse. Nome storico della scena rap italiana, da qualche anni il cantautorap è anche autore, scrivendo in team l'ultimo album di Fedez "Disumano". A Sanremo si è presentato con la canzone "Dove si balla", un pezzo con la cassa in quattro, che ha fatto ballare tutti, divertendo anche per il tormentone occhiali da sole che ha "costretto" l'orchestra a tenere quando suonava. La canzone è un pezzo dance che dietro, però, cela un testo tra i più sociali ascoltati in questa edizione: un brano con cui Dargen D'Amico ha denunciato le difficoltà di questi due anni di pandemie e mascherine.

È stato bello ascoltare Dove si balla sul palco di Sanremo, un pezzo che è piaciuto molto e che era tamarro il giusto, detto in senso positivo…

No ma lo è eh! Guarda che nei giorni in cui lo lavoravamo in studio è capitato più volte che partisse un trenino, quindi capisco quello che intendi, poi io dentro chiaramente ci vedo anche l'espressione di sensazioni legate ai miei ultimi due anni di vita.

Certo, l'idea dei rottami, del restare a galla, immagino che sia tutto una semantica dell'apocalisse in qualche modo.

Più che apocalisse diciamo che se non riusciamo a dare una svolta alla vita di aggregazione per le nuove generazioni finiamo in un'"ipercalisse", non so oltre l'apocalisse cosa ci sia. Abbiamo bisogno della gioventù, che in questo momento stiamo abbandonando a se stessa, non dandole la possibilità di aggregarsi, sudare, tutte cose che noi abbiamo fatto e che sono necessarie per formare una coscienza che sarà fondamentale per noi, per cercare di rispondere alle sfide del futuro che sono dietro l'angolo. Siamo già molto in ritardo per quanto riguarda il clima e l'ambiente, ad esempio.

La musica è anche, sempre più, come un ritrovarsi tutti insieme? 

Io supererei il dubbio sull'essere più o meno insieme, mi sembra di aver capito – e lo abbiamo capito tutti – che siamo collegati, interlacciati in questo mondo, in questo paese, quindi più tempo perdiamo a fare l'appello e peggio è.

Il Dargen di qualche anno fa si sarebbe visto su quel palco?

In passato ci ho provato, non li ho mandati direttamente, lo hanno fatto le mie etichette ma un paio di volte avevo inviato dei brani, quindi non avevo pregiudizi riguardo quel palco. Sicuramente negli ultimi anni c'è stato un allargamento della rappresentazione musicale su quel palco e si è cercato di dare una fotografia verosimile della musica che circola in Italia, quindi può essere anche che negli ultimi anni siano aumentate le possibilità per un progetto come il mio di finire su quel palco.

Sanremo, inoltre, è l'unico palco, oggi, per fare un po' di promo, no?

Per quanto riguarda il Festival quello è sicuramente l'unica occasione per suonare dopo quasi tre anni, era dall'estate del 2019 che non salivo su un palco.

Quale sarà il mood dell'album, le anime saranno varie come è giusto che sia, no?

Il disco contiene i registri che mi hanno sempre contraddistinto, ho cercato proprio come ho fatto in questo brano di aprire i rubinetti e da quando ho scoperto che andavo a Sanremo ho colto l'occasione per rimettermi a scrivere per me, per Dargen D'Amico, per questo progetto. Sanremo non me l'aspettavo però è stato sufficiente per accendere una scintilla che mi ha permesso di scrivere, registrare giorno e notte negli ultimi due mesi e dentro ci ho messo tutto quello che ho sentito da dicembre ad oggi.

Quindi l'album lo hai scritto negli ultimi due mesi?

Sì, ho fatto praticamente solo quello per due mesi. Io le cose nel cassetto ce le ho, solo che il tempo che impiego per fare un disco non è quello che impiego per concepirlo, per viverlo, perché prima ho bisogno comunque di incamerare tutto. La necessità di scrivere una canzone probabilmente c'era perché negli ultimi due anni ho scritto pochissimo, quasi niente per me, quindi ho semplicemente aperto il rubinetto…

In che modo il lavoro in team con Fedez ti ha fatto crescere come autore? Che precipitato ha avuto anche sulla tua scrittura personale?

Lavorare in team con altre persone è stato fondamentale soprattutto da un punto di vista personale, perché nell'ultimo periodo mi sono molto chiuso dal punto di vista della socializzazione. La scrittura intima era un'occasione proprio per testarmi, per tornare ad avere qualcuno che mi bussasse alla spalla e mi dicesse, perché non trovi una soluzione a questo problema per me fondamentale. È stato un modo per avere un occasione per tornare a far circolare i liquidi, sicuramente tutte le esperienze ci lasciano qualcosa, ho cominciato a lavorare come autore inizialmente anche solo per trovare una soluzione allo stop ai concerti; il mio è un progetto limitato a livello di numeri, che stava in piedi proprio per il legame, per il magnetismo, tra disco, live, disco successivo, live: inizialmente è stata proprio la ricerca di una soluzione – come abbiamo cercato tutti una soluzione al problema covid, da un punto di vista lavorativo – e poi è diventata una scuola, il cercare di trovare il minimo comune denominatore con un'altra persona che è con te in quella stanza, che vorrebbe da te qualcosa. È stato cercare di capire dove puoi arrivare in te stesso a trovare la soluzione, ma è stata una bella scuola anche proprio di rapporti personali.

Tu scrivi tutti i giorni?

Hai fatto la battuta! No, io non scrivo tutti i giorni, scrivo solo quando sento la necessità, penso che non sia obbligatorio scrivere tutti i giorni, è più utile pensare tutti i giorni.

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