73 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito
Opinioni

Maneskin, Rush! è il parco giochi rock di una band che cerca ancora se stessa, ma sa divertirsi

È uscito Rush!, nuovo album dei Maneskin, la band italiana più famosa al mondo.
A cura di Francesco Raiola
73 CONDIVISIONI
I Maneskin
I Maneskin

Rush! dovrebbe essere l'album della maturità per i Maneskin, il primo nato dopo il successo internazionale, dopo che il loro nome e i loro volti sono diventati quasi più comuni all'estero che nel nostro Paese. È altro dal "Teatro d'ira vol.2" che forse non uscirà mai, perché le cose sono cambiate così tanto che quel mondo lì pare talmente distante che quasi non gli appartiene più. Eppure già quell'album conteneva una serie di indicazioni su cosa poteva succedere, c'erano una serie di pezzi che sarebbero stati perfetti, qualche mese dopo, per agganciare i Paesi anglosassoni alla loro estetica e alla loro musica, poi su TikTok è riapparsa "Beggin'", cover scritta nel 2017, e non c'è stato manco più bisogno di continuare a tornare su quell'album. Damiano, Victoria, Thomas ed Ethan avevano già messo da parte le baroccate degli anni precedenti, quelli immediatamente successivi a X Factor, evitando il rischio di tramutarsi nella cover band di un gruppo rock anni 70, preferendo un suono più scarno, più diretto, come gli aveva suggerito di fare una lunga esperienza live negli anni precedenti. Un power trio in grado di riprodurre sul palco le loro canzoni, senza sequenze, ma solo con la forza dei loro strumenti e della voce di Damiano.

Eppure, Rush! sembra ancora un album di passaggio, è un enorme parco giochi rock, pieno di giostre diverse tra loro (sì, sì, l'era streaming chiede anche questo), un album in cui devono dimostrare tutto, giocarsi tutte le carte, stare attenti a mantenersi sull'onda della popolarità e della stima internazionale conquistata, cedendo qualcosa, secondo noi, a quello che veramente vorrebbero, ovvero un'indole più indie, più sporca, più vicina a quella scena anglo-irlandese che ha in Idles, Sleaford Mods e Fontaines DC alcune delle sue punte di diamante. È evidente, per esempio, come Damiano abbia una debito con Jon Talbot: lo dimostrano l'accento british e il lavoro sulla voce in Kool Kids. Così come i temi o almeno l'attitudine verso certi temi. Non è un caso che gli Idles, con il loro post punk ruvido e testi anti machisti come quelli di "Never fight a man with a Perm", abbiano avuto influenze sulla band.

È vero che quest'album è pieno di spunti e suggestioni, sembrano tante porte aperte verso un percorso futuro, ma con tutti e gli otto i piedi ben piantati nel passato: nella scena brit-rock anni 2000 a cui si aggiungono, chiaramente, le suggestioni del post punk e del rock anni '70, con meno RHCP di quanto potessimo aspettarci. È un album in costruzione come la loro seconda carriera. È difficile ascoltarlo e giudicarlo senza tener conto di quello che hanno vissuto in questi anni, alla faccia dei discorsi – non loro – sul non cambiare e rimanere gli stessi. Una sciocchezza. È giusto, ma soprattutto naturale, che una band come la loro cambi, si (ri)definisca e raccolga anche i frutti di quanto seminato in questi mesi.

"Questa fama non ha senso" canta Damiano in Timezone, pensando di tornare da Giorgia Soleri o, comunque, canta il protagonista di sognando di tornare dalla sua amata, mentre il resto è un insieme di sesso, droga e rock ‘n' roll perché anche giocare col cliché fa parte di quel grande gioco che è il R'n'R, bisogna solo cercare di rimanere quanto più credibili possibile. E la credibilità, nel caso specifico, è data da questa volontaria esagerazione. In tre canzoni si parla di cocaina, riprendendo anche le polemiche dell'Eurovision ("Cocaine is on the table"), solo in una di erba e in un paio si citano le droghe (c'è anche un Lucy's Diamond, giusto per non lasciare traccia degli omaggi), un po' di fuck in tutti i suoi significati sono disseminati nelle 17 canzoni (forse tagliarne qualcuna avrebbe dato più compattezza all'album), mentre il sesso nelle sue varie forme è sparso in giro come sale ("Let me taste your silhouette, you can talk between my legs"). Si sente tutto in maniera eccessiva, i testi lo sono e a volte anche la musica, con la sezione ritmica grande protagonista, lo sono le citazioni, a volte il cantato di Damiano, lo sono le produzioni. Ma è proprio in questa bolla di esagerazione che la band si muove per restare ancorata coi piedi per terra.

A volerla leggere in maniera benevola tutto questo ostentare pare un modo per non prendersi troppo sul serio, per sgonfiare un po' tutto, essere autoironici senza perdere il piglio sbruffone del rock: "I talk shit cause it makes me laugh, you keep asking me about it, but my lyrics are all made up" canta Damiano in Kool Kids (la cui grafica pare richiamare "You could have it so much better" dei Franz Ferdinand. Appunto) giusto per mettere le cose in chiaro. Le cose migliori sono quelle più sporche, ma anche la ballatona "If not for you" rischia di diventare un must della band, mentre le cose che meno ci piacciono sono quelle in italiano. Insomma, Rush! è un altro album di passaggio, qualcosa che tiene ben viva la fiamma Maneskin, che permetterà di continuare a essere una delle rock band più ascoltate al mondo, rimpolpando i loro set live, vera forza della band. Sicuramente è un album spaccone, in senso buono, scritto da chi sa che può reggere quel mood e quei testi (a volte un po' troppo pieni di cliché, ma vabbè…). Ed è, alla fine, un album genderless (nel senso che si muove liquido tra le varie sfaccettature rock) che serve anche a un pubblico meno avvezzo a quei suoni per farne la conoscenza, anche perché, in fondo, alla faccia delle categorie: "We’re not punk, we’re not pop, we’re just music freaks".

73 CONDIVISIONI
Immagine
Giornalista dal 2005, sono responsabile dell'Area Musica di Fanpage.it dal 2013. Sono stato tra i fondatori di Agoravox Italia, e ne sono stato direttore dal 2011 al 2013. Ho scritto di musica, tra gli altri, per Freakout Magazine e Valigia Blu e sono stato relatore al Master di I° livello “Scuola di Giornalismo Post Laurea” dell'Università degli Studi di Salerno. Sono stato per diverse edizioni tra i relatori al Festival Internazionale del giornalismo di Perugia.
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views