42 CONDIVISIONI
video suggerito
video suggerito

Mahmood, in Ghettolimpo le difficoltà di gestire il successo dopo Sanremo: “Mi vedevano diverso”

Si chiama Ghettolimpo il nuovo album di Mahmood. È il secondo album per il cantante di origini sarde che dopo il successo di “Gioventù bruciata” racconta quelle che sono state le difficoltà di gestire il successo dopo Sanremo, ma anche l’enorme ricerca musicale, i featuring, la mitologia greca e le malelingue.
A cura di Francesco Raiola
42 CONDIVISIONI
Immagine

Quando con pochi colleghi ci colleghiamo per fargli qualche domanda sul suo ultimo album, Ghettolimpo, uscito l'11 giugno, Mahmood sembra tranquillo, si dice spaventato dall'accoglienza, ma è impetuoso quando gli chiediamo di cominciare a raccontarci un po' la genesi dell'album. Potrebbe non fermarsi più, lo dice anche lui, sorridendo. Il successo al Festival di Sanremo ha completamente stravolto la vita di questo ragazzo che prima di salire su quel palco faceva non poca fatica e che all'improvviso si è trovato non solo a un passo dalla vittoria dell'Eurovision, ma a suonare in mezza Europa davanti a un pubblico festante. "Soldi" è stata senza dubbio la sua sliding door, la canzone che ha cambiato tutto. Oggi tutti siamo pronti a battere le mani quando l'ascoltiamo, ma niente era scontato prima del febbraio 2019. Mahmood era un cantante apprezzato da un pubblico non vastissimo, c'era chi credeva in lui, un'etichetta, la Universal, che cercava di far arrivare la sua musica agli addetti ai lavori, che tentava la carta Sanremo Giovani. E lì Mahmood e tutto il team sono stati bravi a capire giorno dopo giorno come muoversi. Dopo Sanremo Mahmood è stato l'emblema di un nuovo modo di fare pop, più internazionale, mescolando urban, melodia e suoni mediorientali. Ghettolimpo, come spiega lui stesso, è un livello successivo, la ricerca musicale si è fatta più intensa, ma non è cambiata la sua capacità di scrivere pezzi pop, di quelli che ti entrano in testa al primo ascolto. Quest'album è il racconto, però, anche dell'altra faccia del successo, quello che volente o nolente cambia la percezione che di te avevano anche le persone più vicine, gli amici, la famiglia. Ghettolimpo è un viaggio in questi ultimi due anni di Mahmood e quello che segue è il resoconto di un'intervista collettiva fatta con altri, pochi, colleghi.

Quando nasce Ghettolimpo?

Ghettolimpo è il mio secondo album, ho cominciato a scriverlo due anni e mezzo fa. Mentre in Gioventù Bruciata raccontavo il mio passato, le mie esperienze da bambino, in Ghettolimpo parlo di come mi sono sentito dopo Sanremo, perché questo disco ho cominciato a scriverlo dopo la vittoria al festival, mentre ero su un aereo per Tunisi per andare a fare una data coi ragazzi di Sanremo Giovani. Infatti Baci dalla Tunisia è la prima canzone che ho scritto per il disco. Questo disco sta un po' a rappresentare un nuovo mondo, questo neologismo l'ho inventato proprio perché appena l'ho scritto su carta ho subito realizzato che era come volevo intitolare il disco.

Come si è unita la musica alla mitologia?

Ghettolimpo è una via di mezzo tra una cosa molto alta, l'Olimpo, e una cosa molto bassa che è il ghetto. In realtà il significato sta nel mezzo, vuole rappresentare questo mondo in cui ci sono persone normali che però nella loro esperienza e nelle mie canzoni sono paragonate a personaggi della mitologia greca. Ho scelto questo filo della mitologia perché ne sono appassionato da quando avevo 7-8 anni: ricordo che mia madre mi comprò un'enciclopedia per ragazzi e verso la fine c'era il dizionario mitologico con varie storie e io le leggevo tutte, mi facevano impazzire. Musicalmente ho capito di volerlo mettere sempre più a fuoco a partire da "Rapide", quando nel testo scrivo "Il ricordo è peggio dell'Ade" e lo spiego anche nell'intro del disco, in Dei, che ho scritto quasi come se fosse una filastrocca sugli dei dell'Olimpo. All'interno c'è la chiave in cui dico "Tra le pagine vedo un mondo, ci pensi non è così difficile raggiungere in un secondo come un missile" e lì parlo di questo mio modo di vedere questi miti greci fin da piccolo, perdendomi tra le pagine. È una cosa che mi diverte, per esempio ho preso il mito di Narciso, quello che mi appassiona un po' di più e ho voluto trascinarlo nella cover, mi piace che immagine e musica viaggino di pari passo. Solo che l'ho riprodotto a modo mio: nella versione classica Narciso si piace talmente tanto che si guarda nel riflesso e muore cercando di baciare questo riflesso. Il mio Narciso è più marcio, nel senso che guardo nel riflesso ma non mi riconosco ed è un po' quello che è successo dopo Sanremo, quando ho cambiato un po' stile di vita e la gente, i miei amici, la mia famiglia, mi vedeva in un modo totalmente diverso da come io mi vedevo guardandomi nel riflesso. Per questo motivo, nel riflesso della cover la mia immagine è un po' distorta, un po' più Olimpo, Scorpione, immortale, naturale, mentre il me medesimo è Ghetto, la versione bianca, pacifica, nella parte superiore della cover.

Da Narciso a Icaro il passo è breve…

All'interno di questo disco ho fatto tanti paragoni del genere, in "Icaro è libero" ho voluto proprio paragonare quel personaggio a un carcerato, perché nel mito di Icaro gli dicono: "Ti diamo queste ali, però non ti avvicinare troppo al sole se no le ali si sciolgono" descrivendo il fare qualcosa che non si può fare e così, mentre ero con Cheope, mi è venuto questo paragone, di Icaro come un carcerato che si trova tra le quattro mura perché ha fatto qualcosa che non poteva fare, che non gli era concesso.

Hai cominciato andando a Tunisi, ma in tutto l'album c'è un po' di viaggio.

Sì, in questo disco c'è molto viaggio, ho cominciato a scriverlo nel 2019, e lo facevo quasi sempre in aereo. Nell'ultimo anno e mezzo di quarantena non ho scritto tantissimo, chiusi in casa non mi viene tanto da dire. Però oggi sono passati due anni e mezzo, ma quando mi ascolto i pezzi non mi annoiano, quindi vuol dire che comunque è una versione di me che è ancora in atto. È un album che parla del mio presente, ma non sono cambiato, il che significa che sono riuscito a essere ancora sincero che credo sia una delle cose più difficili da dirsi.

Prima parlavi delle difficoltà nate dopo Sanremo, ci racconti meglio cosa è successo?

È successo che io mi vedevo com'ero prima, però mi faceva strano vedere come anche i miei migliori amici si rapportassero a me, non sapevano come fare, io gli dicevo: "Ma siete scemi?", però è una cosa strana, non tutti sanno gestirla bene, anche mia mamma nella prima settimana stava fulminata. Dà un po' quella sensazione, non sai come gestirla, ero un po' spaventato da tutto questo. Mi vedevo allo specchio e volevo essere quello di prima, ma gli altri mi vedevano diverso e io la percepivo questa cosa: non vedere più i tuoi amici e tua madre per lavoro, poi tornare a casa e la prima cosa è vederli sul divano che ti dicono: "Sei in tv!". Sono cose un po' strane, ora però dopo un anno chiusi in casa è tutto tornato alla normalità, meno male.

Tu sei rimasto lo stesso ma a livello di gestione del tuo lavoro come è stato dover fermare tutto?

Per me è stato perfetto, è stato meglio perché dovevo chiudere il disco, avevo bisogno di prendere coscienza di me, ho ragionato molto su di me, questo disco è un po' un disco di autoanalisi. Parlo dei cambiamenti che ho fatto, ho tratto le somme di questi ultimi due anni.

Quanto ha inciso su te, dopo l'Eurovision, la possibilità di arrivare a un pubblico anche internazionale?

Lo racconto anche in Ghettolimpo quando dico "Canto a Madrid, tutto sold out" nel senso che figurati se immaginavo un tour europeo tutto sold out. Quella è stata la vera vittoria, riuscire a fare dei concerti in Europa, pieni di gente che cantava canzoni italiane con l'accento spagnolo, francese, inglese. Per quello la mia esperienza all'Eurovision è stata fantastica, alla fine pur non avendo vinto è come se avessi vinto perché fai un tour europeo, viaggi in tutta Europa, hai la possibilità di conoscere città che non avevo mai visto, cantare, vedi la gente entusiasta, quella era la vera risposta.

Pensi che anche Ghettolimpo possa arrivare a quel pubblico straniero che ti ha conosciuto con l'Eurovision?

Musicalmente credo sia un disco più complesso rispetto a Gioventù bruciata, proprio come struttura musicale, di sound, i suoni sono un pelo meno comuni, abbiamo fatto molta ricerca, abbiamo lavorato un sacco. Sono molto orgoglioso per questo disco, poi ovviamente ho l'ansia che vada male… La cosa buona è che questo disco è stato scritto perché mi rispecchiasse al 100% e rispecchiasse i miei gusti. Sono soddisfatto, indipendentemente da internazionalità o meno, poi è un disco creato per i live, io già immagino come sarà il concerto per questo l'ho voluto suonato, ritmico e melodioso.

Come nasce Kobra?

"Kobra" l'ho scritta prima di "Rapide" e sta a rispecchiare le persone di cui non ti puoi fidare. Ho conosciuto tanta gente anche per lavoro, dopo Sanremo, cerco di essere propositivo anche se di base sono diffidente, però ci provo perché mi dico che "imparerai che l'abito non fa il monaco" poi scopri che le persone da cui meno te l'aspetti ti fregano. Kobra rappresenta quella roba, le malelingue, chi cerca di essere amico e non lo è. È una canzone molto cattiva, c'è dell'astio dentro, lo si vedrà anche nel video. È una di quelle canzoni che chiamo videogame, perché Ghettolimpo è stato creato con l'idea che fosse un nuovo mondo in cui ogni canzone fosse un livello, ogni brano un personaggio e anche la cover del disco sarà con il concept tipo della Playstation. Le canzoni videogame, poi, sono quelle il cui bit ricordano i suoni dei videogame à la Supermario.

In un mondo pieno di feat tu ne hai inseriti solo due. Ce li racconti?

Questo è il mio secondo disco, avevo ancora tante cose da raccontare e i featuring sono una cosa importante, non puoi metterli a caso, devi dare all'altra persona lo spazio per raccontarsi. Quello che racconti prima che arrivi il feat nella stessa canzone non può essere una cosa tanto distante, la canzone deve avere un filo logico. Siccome però avevo molto da dire, a livello di sfogo personale, non potevo mettere troppi feat altrimenti avrei dovuto togliere cose da raccontare e di base ci tenevo tanto a queste canzoni. Con Elisa il rapporto è molto lungo, "Rubini" non è la nostra prima canzone, ne avevamo scritta un'altra prima e avevamo avuto modo di conoscerci. Ovviamente lei è una delle più grandi cantautrici italiane e devo dire che anche lavorando in studio ho imparato tanto da lei, anche a come organizzare le registrazioni voci, ha tantissime idee su strutture, melodie, cambi nota. Il primo pezzo con lei mi piaceva, ma pensavo che potevamo fare di più, un giorno, ero da Klaus (Claudio Bonoldi di Universal, ndr), ascolto dei provini, parte questo di Elisa su questo beat quasi R&B e io chiedo cosa sia: "Boh, l'ha scritto così per sperimentare ma non credo che lo tenga" e io ho chiesto di poterlo prendere, lo lavoro un po', ci incontriamo con Elisa in Toscana, proviamo a riregistrarlo ma la sua strofa su di me non funziona, la riscrivo, cambio parole, lo riregistriamo e nasce Rubini. È uno di quei feat che nasce non da una canzone ma proprio da un lungo periodo di collaborazione.

E Woodkid, invece?

Lui ho avuto la fortuna di conoscerlo a una cena a Parigi dopo una sfilata. Ci siamo scritti su IG per un anno e mezzo e dopo un po', gli dico: "Perché non scriviamo una cosa insieme?", così lui mi invita a Parigi, cominciamo a scrivere e il pezzo inizialmente era tutto in inglese. Quando sono tornato a Milano Jacopo Pesce di Universal mi suggerisce di mettere qualcosa di italiano, quindi ho scritto una strofa ed è nata "Karma". Sono felice di questi due featuring, poi ho collaborato con tanti artisti, italiani e non, ma non li ho messi tutti nel disco perché voglio dargli la giusta importanza e non volevo riempire di feat.

In Icaro canti "Accusato giustamente di libero arbitrio, un reato che al potere da sempre fastidio". Ci parli del rapporto tra potere, società e artista?

Io credo che da parte della gente ci sia un'idea sbagliata di quello che un artista debba fare nella società, penso che i social abbiano un po' distorto i ruoli. Un artista deve essere un artista e se vuole dire qualcosa può dirla come vuole, perché un artista deve sentirsi libero, però c'è anche una cosa da dire: se non se la sente, se non sente di dover dire qualcosa di importante, o solo perché lo fanno tutti, credo che un artista non debba per forza esporsi. Io mi sono trovato in situazioni in cui non mi sono esposto su determinati argomento e mi sono arrivati tantissimi messaggi di persone che mi chiedevano di intervenire, ma non dico tutto perché non credo innanzitutto che sia il mio compito, io preferisco dire qualcosa nelle mie canzoni, anche perché mi sento più tutelato. Io non sono bravo a parlare, a esprimermi in frasi politiche o sociali, non è il mio, mi esprimo meglio scrivendo canzoni e credo che sia la chiave migliore.

Chi sono gli eroi, oggi?

Per me gli eroi sono le persone comuni, quelle che vanno a lavorare per mantenere una famiglia, gli eroi sono le persone che comunque vivono la loro quotidianità con uno scopo, con un progetto di futuro, i miei amici che scrivono canzoni, che vogliono vivere di musica nella vita, quelli che soffrono, si impegnano, ma al contempo riescono a essere felici quando possono essere felici. Gli eroi sono le persone pazze che si impegnano per raggiungere uno scopo nella vita.

42 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views