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Mace, l’artista giusto al momento giusto: “Guardo sempre al futuro per vincere la noia”

OBE è l’album nel posto giusto al momento giusto. Mace, uno dei produttori italiani più innovativi e influenti di questi ultimi anni, ha pubblicato l’album forse nel momento più florido. Una commistione di generi, dalla psichedelia al rap, passando per trap ed elettronica ma con un’identità incredibile e un singolo come “La canzone nostra”.
A cura di Francesco Raiola
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Mace (ph Maria Sang)
Mace (ph Maria Sang)

OBE è l'album nel posto giusto al momento giusto. Mace, uno dei produttori italiani più innovativi e influenti di questi ultimi anni, ha pubblicato l'album forse nel momento più florido. Solo pochi anni fa un album del genere non avrebbe mai visto le classifiche – la settimana scorsa ha esordito in prima posizione – e solo pochi mesi fa pensare a un brano come "La canzone nostra" in testa alla classifica e ai passaggi radio sarebbe stato impensabile. Invece le cose sono cambiate e Mace è riuscito a creare un album che pur nella sua varietà di stili e interpreti ha una visione molto personale che dà un'identità fortissima. E di conseguenza anche una forza che regala freschezza al panorama musicale italiano. La capacità di spaziare tra la psichedelia, il rap, la trap, l'elettronica, fondendo stili senza perdersi nelle gabbie dei generi e la capacità di unire personalità che da fuori sembrano diversissime (Irama e FSK, ma anche Colapesce e Chiello) fa di OBE uno dei migliori album di questi ultimi anni, che si fa forza anche della capacità di pescare tra artisti nuovissimi, come succede col napoletano J Lord.

La tua è come se fosse una planata sui talenti italiani di questi anni conditi da una tua visione molto chiara di quella che volessi avere.

Sì assolutamente, a un certo punto mi sono reso conto, come per magia, che l'Italia era piena di gente che mi piaceva tantissimo, e non era mai successo in passato, quindi quello è stato fondamentale per decidere di fare un disco. È una cosa che non ho mai voluto fare in passato, perché erano pochi quelli che mi piacevano, perlomeno uscendo dal genere. Ora mi sono ritrovato circondato da gente fortissima quindi mi ha fatto venire voglia di farlo, soprattutto dopo essere tornato da Johannesburg dove avevo vissuto qualche mese e dove avevo fatto un disco che poi ho scelto di non fare uscire.

Come mai?

Quando sono tornato è come se fosse svanito l'incantesimo e mi sono reso conto che quella roba aveva senso mentre vivevo in Africa. Tornato qua ho visto questa scena italiana meravigliosa e ho detto wow, beh, è giusto trasportare gli artisti che ho qua nel mio mondo.

Questa cosa dell'album cancellato è interessante, perché in questo modo difficilmente si parla delle cose che lasci andare, mentre lasciare andare quell'album è servito a trovare una strada nuova, no?

Sì, anche perché lasciare andare le cose per me è una grande sofferenza, non è mai una scelta facile, anche le migliaia di basi che ho nel computer mai pubblicate, ogni volta è una lacrima che ho versato, perché mi dico che ci sono cose belle che non usciranno mai, ma allo stesso tempo è giusto così. Questa cosa ti aiuta a trasformarti, anche quello che ti lasci indietro.

Alla fine hai fatto un album in cui oltre a trovare tante voci diverse le hai unite, da Irama a Fsk o Colapesce e Chiello che vengono anche da mondi, probabilmente, diversi. C'è una summa di quello che sei tu, trasportato alla sensibilità contemporanea, spaziando anche tra le sonorità. Come nasce OBE?

Credo che avere una visione chiara mi abbia aiutato a mettere un milione di stimoli diversi in questo disco, ma sempre metabolizzandoli con una lente d'ingrandimento ben precisa. Anche averlo lavorato non di fretta e furia, ma spalmato nell'arco di due anni mi ha aiutato a farlo più variegato, ad avere più influenze. Poi io sono uno di quelli che ascolta veramente di tutto, forse la trap è l'unico genere che non ascolto più, ma tutto il resto sì, ho viaggiato in tanti paesi nel mondo e ascoltato tantissimi generi musicali, credo di avere una visione caleidoscopica della musica e credo che sia quello che me la rende interessante, quando ascolto le commistioni di genere.

E quando hai detto agli FSK che avrebbero duettato con Irama e viceversa? Dico loro perché forse sembrano i più estremi a incontrarsi.

Guarda non ci crede nessuno, ma loro erano presi benissimo, il fatto è questo, che a loro piace di brutto Irama e a Irama piacciono gli Fsk, quindi spesso artisti che non assoceresti si stimano di brutto e se trovi la roba giusta su cui farli collaborare puoi creare un'alchimia perfetta.

Leggevo che sei tornato dal Sudafrica con una serie di produzioni, e avevi già associato quelle canzoni a chi avrebbe dovuto cantarle. Non ci hai comunque lavorato? Per esempio, quando ascolto "Ayahuasca" sento tantissimo Colapesce, anche nella rima con Alaska. Ma ti chiedo se comunque ci sono stati cambiamenti in corsa.

Assolutamente, nella fattispecie con Lorenzo siamo molto amici, credo sia uno dei più grandi poeti contemporanei e quel brano è nato scritto da zero in studio da me e lui: il giro di accordi lo ha buttato giù lui, anche la linea di basso, è proprio partito insieme. È anche l'unico brano in cui sono stato io a chiedere esplicitamente se si potesse parlare di quest'argomento e nessuno meglio di Colapesce avrebbe potuto aiutarmi a metterlo in parole. Gli ho raccontato in maniera piuttosto esaustiva le mie esperienze con l'ayahuasca e lui è riuscito a cristallizzarlo in queste bellissime parole. Dopo aver chiuso la prima bozza insieme ho cominciato ad aggiungere suoni, questi suoni presi dai rituali sciamanici amazzonici, le percussioni, i flauti e poi però ci volevo un'altra strofa in mezzo e mi è venuto in mente Chiello. Anche lì, qualcuno potrebbe non averci mai pensato, ma per me è stato facile immaginarmelo lì perché anche lui è una persona con cui ho parlato tanto, sapevo sia che aveva una stima per Colapesce oltre che per il cantautorato, l'indie italiano, sia perché poteva centrare bene l'argomento.

In "Non vivo più sulla terra", l'associazione tra Venerus e Rkomi è stata strepitosa. Mi spieghi un po' il ruolo di Venerus all'interno dell'album e il vostro rapporto?

È un rapporto strettissimo, non solo è uno dei miei migliori amici, ma  ci siamo conosciuti appena sono tornato da Johannesburg, abbiamo fatto click istantaneamente e ci siamo trovati subito sia sui gusti musicali sia sugli ideali, i sistemi di pensiero, siamo due persone affini, è nato da subito un intreccio umano e musicale. L'ho convinto a venire a vivere a Milano e a lavorare insieme costantemente e gli ultimi due anni li abbiamo passati tutti i giorni, quando ero a Milano, in studio insieme. In questo lasso di tempo abbiamo scritto il mio disco, il suo disco e in mezzo c'è stato anche DNA di Ghali e altre produzioni, praticamente i nostri sono due album che sono nati in parallelo. Io ho prodotto quasi tutto il suo album e lui oltre ai brani in cui canta ha disseminato le sue impronte su tutto il disco.

Hai cominciato quando il rap era di nicchia, poi hai attraversato altri generi, sei approdato in altri lidi, musicali e reali, e ti sei ritrovato a fare OBE nel momento in cui può essere valorizzato maggiormente. Che viaggio è stato quello che hai fatto?

Io ho sempre questa necessità estrema di novità, mi annoio facilmente delle cose e spesso ci arrivo magari prima degli altri: quando il rap ha cominciato a esplodere e andare in radio per me già non era più interessante farlo, volevo andare da un'altra parte e prima di altri ho cominciato a fare un certo tipo di musica elettronica che poi da lì a poco sarebbe esplosa: era un periodo in cui c'era un'incredibile libertà con i Justice, i Crookers, i Cassius nella stessa scena, personalità completamente diverse. Poi quando quella roba lì è diventata gigante si è trasformata in EDM, mi sono sfilato e ho scoperto la trap prima che la scoprissero tutti e alla fine del 2012, ricordo che suonavo a Reset in un serata prevalentemente elettro, cassa dritta, mettevo la trap e otto persone su dieci non la capivano, però quelli che la capivano toccavano il soffitto. Ho un po' questa maledizione che ogni volta che un linguaggio comincia a funzionare tanto io faccio un passo indietro perché sono più interessato a capire cosa succederà di nuovo.

Ti aspettavi un'esplosione del genere de "La canzone nostra" che ha sì Salmo ma anche uno come Blanco, all'epoca ancora poco noto al grande pubblico?

No, sapevo che era una bellissima canzone perché l'ascoltavo di continuo e alle persone intorno a me brillavano gli occhi quando l'ascoltavano, però non potevo prevedere che andasse in alta rotazione sulle radio, che funzionasse sulle radio, più ancora che su Spotify, essendo la radio un media ancora tradizionalista. Alla fine è il brano di un produttore non conosciuto al pubblico, un esordiente minorenne e Salmo che è la persona più riconosciuta ma che qua ha vestito panni diversi. Mi sono reso conto che riesce a parlare a tutti, ma allo stesso tempo viene percepita come un brano di rottura, un suono non catalogabile e un brano che fonde così tanto la melodia e la modernità non è stato così ascoltato.

Invece mi parli un po' di J Lord, a proposito di esordienti veri?

Beh, è poco che pubblica cose e ti garantisco che gli addetti ai lavori e gli altri artisti cominciano a riconoscerlo. La storia divertente di J Lord è che me l'ha fatto scoprire Fritz da Cat, uno dei miei più cari amici; fu lui, un altro che arriva molto presto sulle cose, a farmi ascoltare questo J Lord che aveva appena pubblicato "Figli del passato", quindi stiamo parlando di prima che iniziasse a lavorare con un produttore pro come Dat Boi Dee. Mi ha detto che era fortissimo, era una vita che non sentiva uno rappare così bene e io ho cominciato a farlo ascoltare a tutti quelli che passavano per lo studio, da Ghali a Gemitaiz e Salmo e tutti dicevano che spaccava. Ovviamente già quando l'ho scoperto stavo facendo OBE e gli ho scritto che avremmo dovuto fare una cosa assieme e volevo farlo insieme a Fritz perché trovavo bellissimo mettere insieme l'artista più giovane e quello più maturo e anche perché me l'ha fatto scoprire lui. Mi piace lavorare coi super giovani perché ho tanto da insegnare a loro e loro hanno tanto da insegnare a me.

Ultima cosa, ci spieghi i simboli vicino ai titoli delle canzoni?

Vuoi sapere se è tutto a caso? No. Alcuni sono simboli alchemici, altri sono simboli tibetani, altri sono simboli per i quali sono andato puramente ad associazione di immagine. Avevo deciso di voler associare i simboli ad ogni traccia perché per me i simboli hanno un potere più profondo delle parole e quindi per esempio Hallucination in cui ho messo in musica un mio viaggio psichedelico ho usato il simbolo alchemico del mercurio che indica la trasformazione perché per me quel viaggio musicale mi ha trasformato. A "Dio non è sordo" ho associato il simbolo tibetano per indicare la divinità, "Colpa tua" è un simbolo per il quale sono andato per associazioni d'immagini, essendo un brano che parla di dipendenze sono le due forze opposte, quella che ti permette di staccarti e quella che ti riporta dentro, così ogni brano ho trovato un simbolo che rispecchiasse il significato.

Con la collaborazione di Vincenzo Nasto

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