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Leo Gassmann: “Ho dovuto combattere molti pregiudizi, per me non è stato più facile fare musica”

Si chiama “La strada per Agartha” il secondo album di Leo Gassmann, reduce dal Festival di Sanremo. Con Fanpage ha parlato di questo lavoro, della madre, delle collaborazioni e dei pregiudizi.
A cura di Francesco Raiola
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Leo Gassmann (ph Simone Biavati)
Leo Gassmann (ph Simone Biavati)

Per Leo Gassmann la strada da fare per crescere nel mondo della musica è lunga, ma da anni la sta costruendo mattone su mattone, cercando di farsi influenzare e cercare una propria identità. Il viaggio questa volta, prende "La strada di Agartha" per citare il titolo del suo ultimo album in cui è incluso anche Terzo cuore, la canzone, scritta da Riccardo Zanotti dei Pinguini Tattici Nucleari con cui il cantautore è salito per la seconda volta sul palco dell'Ariston. Un album in cui si sentono chiari i riferimenti ad artisti anche diversi tra loro, da Lucio Dalla a Bon Iver, passando per i Pixies e Edoardo Bennato che firma anche una collaborazione: "Questo album è un viaggio alla ricerca della bellezza della musica e non è un caso che ci siano tante reference come i Pixies, Lucio Dalla o Bennato – dice Gassmann a Fanpage.it -. Non è un caso che ci siano dei collegamenti anche con artisti che hanno già scritto un pezzo di storia nella musica, perché è un album alla ricerca di me stesso ed è un vero e proprio viaggio.

Infatti si intitola "La strada per Agartha"…

È un viaggio che sto ancora compiendo e che spero di non smettere mai di fare. Spero di non smettere mai di inseguire questa meta, questo mondo magico, Agartha, che ho scoperto attraverso la lettura di un libro, "Il Dio fumoso", un libro di Willis Emerson, una raccolta di appunti di due naufraghi che arrivano su questa terra magica, abitata da queste creature mitologiche che vivono solo di musica e agricoltura. Così ho immaginato di compiere questo viaggio alla ricerca della bellezza della musica, incontrando i miei giganti, le mie e i miei abitanti di Agartha che sono tutte le persone nelle quali ho creduto e che hanno creduto in me in questi anni che sono stati anche complicati.

Come mai?

Perché fare musica non è mai semplice e io lo so bene perché oltre a viverlo sulla mia pelle l'ho visto anche incontrando, sul mio percorso, altri cantautori con cui ho spesso diviso il viaggio. Non è un mestiere che si fa per fama o per denaro quindi tanto vale la pena di fare qualcosa di unico che vada oltre la ricerca delle classifiche o della hit del momento. Poi sono stato fortunato a incontrare Riccardo (Zanotti, ndr), che in questo momento, a livello radiofonico, è sicuramente il migliore con i Pinguini Tattici Nucleari. Anche se la collaborazione con lui non è nata per ricercare la radiofonicità di un brano, ma sono brani nati da una grande amicizia e da un grande entusiasmo. Insomma, ce ne sono alcuni che possono essere piazzati a livello radiofonico e altri no, neanche a livello di playlist di Spotify. È una cosa che so benissimo, però sono delle cose che secondo me meritavano di essere pubblicate e che spero possano essere di ispirazione per tutti quei cantautori che non credono di poter raggiungere una serenità artistica e di vita. Io credo che se se vai controcorrente a un certo punto la tua strada la trovi che sia per strada, attraverso la strada, che sia attraverso un palco, che sia attraverso semplicemente l'entusiasmo e la voglia di portare avanti un sogno, circondandoti di persone che ti vogliono bene, che credono in te, si possono fare grandi cose.

In Caro Lucio omaggi Dalla ma con un occhio a Bon Iver…

Caro Lucio è ovviamente una risposta a L'anno che verrà di Lucio Dalla. Mi ispiro molto alle sonorità di Bon Iver, una band che stimo moltissimo, l'ascolto spesso nei miei viaggi in macchina: secondo me è un modo di far musica, col suo tipo di sonorità, che crea un collegamento proprio con ciò che più di profondo esiste nell'animo delle persone. Lo definisco alternative pop ed è un filone musicale che mi piacerebbe tanto seguire. E nel disco, appunto, l'ho fatto attraverso Caro Lucio, ma anche attraverso "Figli dei fiori".

Facciamo un passo indietro. Qual è la cosa più bella che ti sei portato da questo Sanremo?

Sicuramente l'immagine dei miei amici che sono venuti a trovarmi da tutte le parti d'Italia per sostenermi, anche perché il mio nuovo progetto discografico è basato sul concetto di amicizia. Salire su quel palco per me è stata una grande conquista, un grande onore e anche una grande sorpresa perché lavori tre anni a un progetto e poi a un certo punto questo progetto viene riconosciuto da qualcuno. Ho cercato di rappresentare al meglio il brano che portavo, rispettando quel palco, consapevole che rispetto anche alla prima volta in cui c'ero salito stavo vivendo un'esperienza unica e che dovevo rappresentare tante persone e tanti cantautori, appunto, che in Italia faticano a raggiungere comunque degli obiettivi.

Come mai, secondo te?

Non perché non abbiano le qualità per farlo, ma perché viviamo in una società molto selettiva, per questo ho portato con me sul palco, nel mio cuore, anche tutti i cantautori che spesso incontro nei miei viaggi e con i quali mi piace collaborare, scrivere ed emozionarmi. A me piace chiamarlo progetto collettivo, perché senza i miei amici e senza le persone che ho incontrato nei miei viaggi, non ce l'avrei fatta. C'è un brano coi Will and the People, uno con il mio miglior amico, Matteo Costanza, che è anche il produttore principale del disco insieme a Marco Paganelli, con il quale ho arrangiato i brani scritti da Riccardo Zanotti, poi c'è Lodo Guenzi che mi ha gentilmente donato anche un suo brano, una parte di sé, che noi abbiamo rielaborato e abbiamo adattato al mio mondo, una collaborazione con Rahul Kamble, un artista indiano che ho conosciuto alla mia università. È un album molto artigianale, nel senso che, al di là delle grandi collaborazioni come quella con Edoardo Bennato, ce ne sono altre con artisti che la loro pagina di storia la devono ancora scrivere. Mi piaceva l'idea di mettere in un album grandi nomi a nomi che diventeranno grandi, almeno secondo me.

Ci sono anche Gem Archer, Andy Bell J. Sharrock, nomi della scena Brit, tra Oasis, Bready Eye e Gorillaz…

Quella in realtà è stata un po' una sorpresa per me. Conoscevo una persona che è riuscita a mettermi in contatto e gli ho fatto mandare dei brani, sono rimasti colpiti da Maledizione, che era un brano che aveva delle sonorità molto simili alle cose alle quali lavoravano.

Vi siete incontrati?

No, abbiamo lavorato a distanza, abbiamo avuto uno scambio di mail. Quella è stata la cosa più sorprendente che è avvenuta, perché cresci con delle band come, appunto, gli Oasis e i Gorillaz e poi a un certo punto i musicisti di quelle band decidono di incidere delle parti musicali all'interno di un tuo brano. È stato un grande onore per me.

Ti si vede spesso ridere, ma qualche giorno fa ti abbiamo visto piangere su TikTok mentre ascoltavi Without You.

Io sorrido spesso, però piango anche tanto, sono una persona che si emoziona molto. Ogni volta che ascolto Without you devo trattenere le lacrime perché mi ricorda un momento bellissimo. Ero partito per l'Inghilterra, era la mia prima esperienza in assoluto lì, non ci avevo mai messo piede. I Will and the People mi hanno invitato a casa loro: ho preso l'aereo, sono arrivato a Londra, l'ho attraversata tutta con la metro e sono arrivato a ovest della città dove mi sono venuti a prendere con questa macchina vintage degli anni 80. Mi hanno portato in questo posto che era nel mezzo del nulla, in questa casa fatta di mattoni rossi, tutta stretta, bellissima, a due piani con lo studio di sotto. Io ero partito con l'idea di scrivere un brano con ognuno dei componenti dei Will and the People anche se c'era un componente, Jamie, l'artista che canta con me in Without You, con cui sognavo, in particolare di scrivere. Jamie per me aveva qualcosa di magico ma non ero riuscito a scrivere niente fino all'ultimo giorno. L'ultima notte si sono addormentati tutti, nel frattempo noi avevamo arrangiato altri brani, e io e Jamie siamo rimasti gli unici svegli, lui era in questa stanza a suonare il pianoforte a muro vintage, con questo suono anche leggermente scordato, e mentre suonava, a me è venuto questo ritornello, lui ha scritto subito la strofa, ci siamo emozionati tanto, in un'ora l'abbiamo registrato e arrangiato e quando abbiamo finito di cantarlo ci siamo abbracciati e ci siamo commossi perché questi sono quei momenti che avvengono poche volte nella vita, a me sono capitate poche volte così forti, così intensi.

Prima parlavi della difficoltà di fare il cantautore in Italia, tu ti scontri con chi ti dice che per te è stato più facile. È stato veramente più facile?

Io non penso che esista un più facile o un più difficile nella musica, Battiato diceva che se un pezzo funziona funziona, se non funziona non funziona e non c'è niente da fare. Se c'è un messaggio arriva, altrimenti, senza messaggio, non arriverà mai. Io ovviamente nella vita ho faticato molto e continuo a faticare moltissimo per costruirmi qualcosa di mio. Certo, vengo da una famiglia conosciuta, che ha fatto grandi cose, ma è anche una famiglia molto onesta, l'onestà e l'umiltà sono sempre state una priorità; una delle regole in casa è quella di non dover mai usufruire delle cose che ci sono date, senza meritarcelo, è questo l'insegnamento che mi è stato dato, così nella vita ho sempre dovuto faticare il doppio perché da un lato dovevo dimostrare di essere all'altezza del mio cognome e dall'altro mi ritrovavo senza nessun amico che facesse musica.

Neanche i tuoi?

No, anche se l'avessi chiesto ai miei genitori, loro non conoscevano nessun musicista, nessuno che facesse musica, quindi fino ai 18-19 anni facevo musica da solo, ricordo che i miei amici andavano a ballare, parlavano di macchine, di orologi, di donne, mentre io andavo a suonare per strada, ero da solo, completamente solo. Poi ho avuto la fortuna di incontrare quelli che oggi sono i miei migliori amici, la mia nuova famiglia, quella che mi sono scelto, che mi sono creato nel tempo, che hanno creduto in me, e ho iniziato a fare musica sotto al letto a castello col mio migliore amico e insieme siamo arrivati a Sanremo Giovani, vincendolo, ma senza aspettarci nulla. Credo che ognuno nella vita debba combattere contro degli stereotipi, quindi io non mi sento né qualcosa in più né in meno rispetto ad altri che cercano di fare musica, ognuno deve combattere contro qualcosa nella vita ed è giusto che sia così, perché altrimenti sarebbe una vita noiosa.

Si parla spesso di tuo padre e di tuo nonno, ma la vera star social è tua madre, no?

Sì, mia madre è la mia star social, è la mia fan numero uno. Ogni volta che ho fatto qualcosa, tipo i provini per X Factor o Sanremo, l'unica persona che avvisavo era lei. È stata la persona che mi ha comprato il mio primo strumento, mi ha regalato le mie prime lezioni di chitarra, che è venuta a tutti gli esami di solfeggio e di strumento, che è venuta a tutti i miei provini. È sempre stata con me, anche quando da bambino, a teatro facevo i piccoli spettacolini, lei era sempre presente, è sempre stata lì. Coinvolgerla anche a livello social mi diverte, anche perché sa tutti i testi a memoria, quindi a volte la butto in mezzo, poi la gente la ama, mi scrivono dei messaggi bellissimi.

Non ci sono autrici nel tuo album ma se dovessi sceglierne una chi sceglieresti?

Madame sicuramente. Mi è piaciuto molto il percorso che ha fatto a Sanremo, per me è stata la migliore, credo che lei sia un po' la nostra Stromae. È una grande, e sta facendo cose belle. Poi ci sono cantautrici di cui non si parla, penso a Laila al Habash, cantautrice romana che stimo tantissimo e che credo farà grandi cose. Poi ci sono Serena Brancale e Simona Molinari che fanno parte di una bella scena underground. Ci sono scene meravigliose delle quali non si parla tanto, ma che in realtà hanno un loro pubblico ed è affascinante perché sono veramente artisti incredibili di cui mi chiedo come mai non facciano i palazzetti, poi penso che se fai musica per amore, crei cose meravigliose, alla fine te ne freghi.

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