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J Lord, la fame, New York e il tributo a Michael Jackson: la guida a No Money, More Love

Il primo album, l’arrivo a New York e la fame di Afragola: J Lord è un nuovo racconto nel rap italiano ed esordisce con “No money more love”.
A cura di Vincenzo Nasto
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Il filo non sembra essersi spezzato, la musica è ancora lì, i suoi piedi hanno già toccato il suolo di New York e solo per questo potremmo dire che J Lord ce l'ha fatta. E invece serve il primo disco ufficiale, a 19 anni ancora da compiere (il prossimo agosto), a ricordarci da dove è partito il giovane cantante campano. Come aveva raccontato nell'intervista a Fanpage.it, gli ultimi due anni sono stati il punto di partenza, una ricostruzione della sua crescita in Italia, l'adozione da parte della madre Anna, il bullismo e il razzismo vissuto inizialmente tra le strade della sua città. La consapevolezza di ciò che avrebbe fatto da qui a pochi mesi ha cambiato l'approccio alla musica di J Lord, non cambiando la sua attitudine.

Ciò che sorprendeva, la sua "cruda verità", è ancora lì: quel fuoco arde e il puzzle di immagini si ricompone. Il rapper ha raggiunto però il suo primo obiettivo: riuscire a cantare anche per gli altri, diventare un tramite positivo, parte di una catena della "verità" in cui contemporaneamente cerca di crescere e di aiutare gli altri in questo percorso. "No money more love" è un racconto stratificato che non si ferma alle sue melodie e ai suoi testi, ma rappresenta ancora quella narrazione differente per cui J Lord è riuscito a creare una propria immagine: non è solo New York, non è solo il colore della pelle o l'immaginario. J Lord ha una storia, ma soprattutto un obiettivo con la musica: cambiare la sua vita, per poterne cambiare altre. Nell'outro del suo disco canta di voler dividere i suoi primi milioni con le persone che gli sono accanto, un ascensore sociale che si contrappone all'individualismo materiale dell'attuale scena.

La musica rimane quello stato emotivo che aveva descritto nell'intervista: "Per me il rap è sfogo. Ci sono magari persone che quando scrivono, immaginano di essere ricchi, di aver quell'orologio, quella macchina. Io racconto ciò che vivo, direi tutto davanti al microfono. Ho detto qualsiasi cosa, anche che mia madre aveva i debiti. Io sono così, perciò arrivo alla gente". E "No money, more love" rappresenta anche questo, ma non solo. Il primo album di J Lord, che arriva dopo l'uscita dei singoli "More Love" e "Karl Kani Flow", è il risultato di un viaggio musicale nella testa di Lord Johnson e Dat Boi Dee, producer del progetto e sarto musicale del rapper. Una scommessa che fin da ora, per il beatmaker che lavora sia con Geolier, sia con J Lord, può essere considerata vinta, al di là dei risultati di vendita del disco. Dat Boi Dee è riuscito a ricreare due contesti differenti ma paralleli del rap napoletano, lasciandoli ammirare al pubblico nazionale. Il dialetto sovverte il suo effetto malus di comprensione e diventa un tratto identificativo della musica. L'orecchio, come era stato per "Emanuele", ha fatto il resto: basti pensare anche al tributo a Michael Jackson e alla sua "Billie Jean" in "Tiffany".

Ritornando a J Lord, le aspettative sul suo disco d'esordio erano molto alte: parlano le sue collaborazioni con Mace, Massimo Pericolo, Gaia, Gué Pequeno, Ghali e Liberato, ma anche Mecna. Tutti completamente rapiti dalla penna del rapper, che attraverso immagini semplici da decodificare ma crude da digerire, ha aperto un mondo sulla provincia campana. Napoli è il panorama a cui riferirsi, ma la sua scrittura arriva da un contesto diverso, quello della provincia: un tratto in comune che lo lega indissolubilmente a Massimo Pericolo. Lui, insieme a Bresh, Vettosi, Digital Astro e Vale Pain, rappresentano ancora quel compromesso tra il rap cantautoriale e lo stile nelle punchline. Insieme a J Lord, la generazione che ha ricercato nella musica un posto per evadere dalla realtà, non solo un resoconto di cronaca, ma la ricerca di uno stimolo artistico dalla noia e la perdizione dei quartieri. "No money more love", composto da 15 tracce, rappresenta anche il dualismo tra soldi e amore, tra la sicurezza economica e la felicità. Questa volta, da un punto diverso: la visione di chi racconta è quella di una persona che ha cercato in una, il riparo all'altra.

E alcune volte il giudizio ha fatto più male che la mancanza di beni materiali: "Intro" è lo sfogo, un brano scritto di getto. J Lord chiede a chi ascolterà di presentarsi senza alcun giudizio: il giovane rapper è un uomo nudo, spogliato dalle sue insicurezze, anche grazie all'incoscienza della sua età. "Sixteen" era stato il preludio a ciò che sarebbe poi divenuto J Lord, un uomo che si forma attraverso le sue esperienze. C'è il legame con la religione e con la paura: "The Prayer" è la preghiera delle mamme che i figli escano dal buio, ma non solo. I peccati vengono accettati, non perdonati, ritorna il fuoco del passato ad ardere sul corpo di J Lord, ma il futuro adesso è l'unica direzione. Si arriva alla prima collaborazione, Massimo Pericolo in "Pelle d'oca". Il concetto dell'amicizia prima dei social, della verità mostrata a sé stessi prima che agli altri, definisce la narrazione del brano. Il singolo non ristagna sulla perdita dell'amico, non si ferma all'effetto nostalgia. Proprio Massimo Pericolo fotografa esattamente nell'ultima strofa del brano: "Guardo il cielo farsi scuro, senza farsi scrupolo, di te né di nessuno. Aiutati che il cielo non dà aiuto, maledico Dio che ti ho perduto, fanculo, ma lo ringrazio che ti ho conosciuto".

C'è amore anche nel dolore, come c'è fascino nella ricchezza e nella scoperta. "Louie Vee" e "Karl Kani Flow" sono i due episodi egotrip del progetto, che nascondono anche l'orgoglio di J Lord nell'avercela fatta. Infatti, proprio con il secondo singolo, il cantante ha toccato per la prima volta il suolo di New York. Quella città che gli era stata affibbiata, senza averla mai vista dal vivo, diventa la vetrina dei suoi racconti romanzati sul suo futuro. I quartieri perdono la propria identità nazionale e tutti diventano figli della strada: le strade del Bronx, di Brooklyn, di Brownsille si rispecchiano fedelmente nei vissuti ad Afragola. Arriva anche Bresh in "Dance", uno dei brani più ritmati del disco, l'evidente voglia di allargare il proprio panorama musicale per J Lord. Si ritorna ancora sul valore dell'amicizia e su come le strade abbiano scelto di prendere un ragazzo piuttosto che qualcun altro: la denuncia arriva diretta sull'assenza di stimoli, che si tramuta inevitabilmente nella vita veloce.

"Ekip Skit" divide l'album in due: la seconda parte sarà quella in cui i tributi alla musica che lo ha salvato saranno più frequenti. Dai quartieri si vola di nuovo a New York con "More Love", che può essere considerata la titletrack del progetto: più si va avanti e più si riesce a riconoscere la voglia di amare, di restituire e di condividere da parte del rapper. Un sentimento genuino, facilitato anche dall'età di J Lord, che sceglie di accogliere sulla traccia il "fratello" Vettosi: entrambi parte di un'evoluzione del rap napoletano, che pesca molto negli Stati Uniti. Le sonorità di Vettosi come sempre fanno girare la testa, una delle voci più sorprendenti della scena italiana, e non solo per la somiglianza del timbro a Pop Smoke. Arriva "Tiffany", un tributo musicale a Michael Jackson e alla sua "Billie Jean" che viene campionata nel brano: è il suo modello, il suo racconto. L'arte che strappa dalla povertà, ma anche la musica che unisce ed eleva.

È il momento de "La vérité": J Lord ricorda a tutti la sua attitudine, ma anche la sua provenienza. Uno dei passaggi più importanti del brano è quando canta: "Ghanese giro cu' ‘a bandiera ‘e l'Italia". Il suo colore della pelle determina le origini, ma J Lord urla in faccia a tutti il suo essere italiano, cresciuto da una terra che gli ha mostrato troppa verità, troppo in fretta. Il gancio con "Catene", in collaborazione con Vale Pain, ma anche con "Be Mine" con Digital Astro è palese. Se il Ghana rappresenta l'origine per J Lord, si può disegnare la stessa cornice a Vale Pain, di origini peruviane e Digital Astro, di origini marocchina. Tutti giovani talenti, con radici completamente diverse, che cercano nella musica la chiave del riscatto in Italia. Questo discorso potrebbe essere allargato alla maggior parte degli artisti della nuova generazione, ma la descrizione della nuova scena si ferma purtroppo ancora ai suoi episodi violenti, senza approfondire le motivazioni iniziali di quella rabbia.

Chiudono il progetto "She don't like it" e "The winner is". Il primo è un esercizio di tecnica del rapper campano, che cerca di riprendere una delle voci e dei flow che hanno segnato gli ultimi 20 anni del rap: Lil Wayne. Molto più interessante il concetto di vittoria in "The Winner is". La rappresentazione del trionfo si disegna attorno alla condivisione dei soldi, del primo podio da raggiungere per un progetto musicale appena partito. La "fotta" con cui lo urla J Lord sembra incoraggiare sia lui a credere in questo processo, che gli altri, non solo chi è esterno al progetto, ma proprio coloro che lo hanno aiutato in questo salto. E qui c'è bisogno di ricordare la sua età: appena 18 anni. J Lord è riuscito negli ultimi due anni a convincere tutti, dalle strade di provincia al mercato discografico, arrivando anche a toccare il suolo di New York, dove tutto è cominciato. J Lord ha vinto, e potrebbe continuarlo a farlo, in un racconto italiano senza precedenti.

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