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Dj Ty1: “Dieci anni fa il rap era meno business, ora i giovani vanno subito in stress”

Nato dalla giungla urbana di Salerno, Dj Ty1, in arte Gianluca Cranco, ha pubblicato nelle ultime ore il suo ultimo progetto: “Djungle”. Il produttore ha invitato 24 artisti, della scena rap nazionale e internazionale, a raccontare il cambiamento degli ultimi 25 anni dell’hip hop italiano, dalle jam con i breaker all’avvento di Spotify.
A cura di Vincenzo Nasto
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"Suono dal '98, almeno tre volte a settimana. Senza contare i tour estivi con i vari artisti". Un biglietto da visita più specifico era difficile da aspettarselo da uno dei dj italiani più importanti, ovvero Gianluca Cranco, in arte Dj Ty1. Venerdì scorso è uscito "Djungle", il suo nuovo disco con 24 ospiti, tra artisti rap nazionali e internazionali, uno dei progetti più attesi degli ultimi mesi, anche grazie ai singoli che hanno anticipato l'album: da "C'est la vie" con Capo Plaza e Dosseh, a "Sciacalli" con Noyz Narcos e Speranza, fino ad arrivare a "Fantasmi", una delle combo più micidiali del rap italiano, formata da Geolier e Marracash. Il racconto degli ultimi 25 anni del rap italiano attraverso sample e skretch, con le voci dei più classic come Guè Pequeno e Jake La Furia, ma anche dei più giovani come Touchè e Vettosi. Nel frattempo, anche il cambiamento della giungla urbana, parlando del suo quartiere, Torrione Alto a Salerno. TY1 e la sua "Djungle" raccontati in questa intervista.

Metto play, prima traccia: "Djungle", un campionamento di "Benvenuti nella giungla" della Dogo Gang. Quante cose sono cambiate nel rap italiano?

Sono cambiate un po' di cose rispetto agli anni 90: allora era difficile avere uno studio, uno staff, un'organizzazione che ti permettesse di fare certe cose. C'erano gli Articolo 31, Frankie Hi-Nrg, Neffa e i Sottotono, adesso non me ne ricordo altri. L'approccio era migliorarsi attraverso la battle, i freestyle. C'era una connessione maggiore, perché incontravi gli altri solo alle jam e quindi la competizione era molto più alta.

Quanto sei cambiato tu all'interno di questo movimento negli anni?

Io ho fatto un sacco di campionati. Tutto comunque era meno focalizzato sul business, anche perché adesso dopo due hit a 20 anni, l'etichetta discografica ti gira attorno e magari ti propone contratti da centinaia di migliaia di euro. Quando avevo io 20 anni suonavamo per strada, non c'era questa occasione. Suonavamo in da "Djungle" veramente. Non avevi etichetta, pensa che mi chiudevo le serate da solo, facendomi chiamare e contrattando con i locali.

Invece adesso?

Adesso è subito un lavoro, i più giovani devono subito performare, ma vanno sotto stress e in pochi riescono a rimanere costanti nel tempo. Dal 2008 in poi, dal periodo di "Applausi per Fibra", anche se Fibra rappava già da anni, il rap in Italia è diventato qualcosa di importante. Poi sono arrivati i social, Instagram, ma soprattutto Spotify e tutte le varie piattaforme digitali. Non c'è mio padre lì sopra, che magari compra i vinili, ma i ragazzini che ascoltano questa musica. Anche se devo dire che i vinili sono ritornati di moda, è una cosa bella per un Dj.

Il tuo disco come si inserisce in questo contesto? Che anima hai voluto dargli?

Nel mio album ho voluto fare un incontro di più anime, c'è qualcuno più old, ci sono Neffa e Tiromancino, che soprattutto per il primo adesso non fa più questa roba, ma sarebbe comunque uno dei migliori a farlo. Poi ci sono le nuove leve come Villabanks, Touchè, Paki, Geolier, Samurai J, ma anche Taxi B e Vettosi. Nei giovani alcune volte dimentico di mettere Capo Plaza, perché sembra sia qui già da decenni, ma ha solo 23 anni.

Parlando di Capo Plaza, le immagini ci riportano a Salerno, dove sei nato e cresciuto. Quanto è cambiata quella "giungla"?

Ultimamente quando torno a Salerno trovo tutto cambiato, e quando sto con i miei amici, girando per il mio quartiere, zona Torrione alto, adesso sembra tutto perfetto. Ci sono le fontanelle, i bar, prima non sapevamo neanche dove andare a prendere un bicchiere d'acqua. Si stava in mezzo alla strada, è cambiato molto. Sembra tutto molto più pulito e tranquillo, c'è tanta apparenza, ma la giungla è cambiata molto.

E quando c'eri tu a Torrione Alto?

Quando ero io un ragazzino, mi ricordo che il quartiere era veramente molto street, una giungla a cielo aperto. I rumori dei motorini, le immagini che vedevi, erano crude quanto vere.

Quando parte il processo di realizzazione del disco "Djungle"?

Il disco ha avuto vari problemi col Covid. Quando ho fatto "C'est la vie" con Dosseh e Capo Plaza, avevo già un bel po' di beat, poi a gennaio 2020 è uscita "Sciacalli" con Speranza e Noyz Narcos. Però il disco doveva uscire a maggio 2020, poi a un certo punto si è tutto stoppato. Ho incominciato a non suonare più nei locali, quando dal 98 io ho suonato almeno tre volte alla settimana. Mi trovo a casa con il lockdown, e invece di deprimermi e lasciare andare tutto, ho switchato.

In che modo?

Ho deciso di potenziare l'album, ma soprattutto ho deciso di potenziare me stesso sulle produzioni, una cosa che già facevo come Dj. Quando partecipavo a competizioni o quando adesso preparo dei dj set per farle a un certo livello, mi alleno sette/otto ore al giorno. Ho portato questa cosa nella produzione: mi alzavo alle 8.30, colazione e dalle 9 ero davanti al pc a produrre. Fortunatamente avevo la mia ex ragazza che si occupava di tutte le faccende esterne, perché anche lei era ferma con il proprio lavoro. Sono stato incastrato così tante ore davanti a quel pc, che credo di essere ingrassato un bel po'. Per quattro mesi ho fatto questa vita.

Praticamente in qualche mese avevi già tutto l'album pronto?

Sfortunatamente gli ospiti del disco non potevano registrare e quindi avevo prima dell'estate tutti i beat pronti, ma quasi nessun brano che avesse le voci degli artisti. Dopo che mi sono arrivate le tracce da parte dei cantanti, ho incominciato a fare il mio lavoro di taglia e cuci. Proprio l'ultimo pezzo è stato quello che ha aperto questo disco, la traccia "Fantasmi" con Geolier e Marracash. Fabio mi aveva detto che voleva essere l'ultimo, perché stava lavorando anche su altri progetti.

Com'è stata la sua reazione?

L'ho chiamato a disco quasi completo, mandandogli il beat di "Fantasmi". È impazzito completamente, mi ha detto che questa era la sua roba. Geolier già aveva scritto strofa e ritornello, anche a lui era piaciuta moltissimo. La cosa bella era che entrambi volevano avere una collaborazione con l'altro, per me è una mega combo, e infatti il pezzo sembra quasi scritto a quattro mani. In realtà ognuno era a casa propria.

Tutto l'album ha un campionamento di suoni e di sample incredibile, un lavoro alle produzioni che raggiunge tutta la sua estrosità nel brano "Amy" di Rkomi, in cui la produzione sembra cambiare ritmo e velocità almeno cinque volte. Com'è stato fare questo lavoro di taglia e cuci sulla voce dell'artista?

Partiamo dal presupposto che io ho un team di produzione incredibile, che mi porto dietro dall'ultimo disco. Dietro di me, da allora, ci sono due ragazzi italiani che vivono a Londra, i fratelli Parisi. Ti voglio dire uno solo dei nomi con cui collaborano: Ed Sheeran. Sono due professionisti incredibili. Per la traccia di Rkomi, sono partito dal bridge iniziale con batteria e basso, con questo ponte incredibile. Qui tutte le parti drums cambiano almeno tre volte. Cambiano i giri di beat e gli strumenti, ma questa cosa la puoi fare solo con un artista che ha una poliedricità incredibile. Rkomi è spaventoso, dalla parte cantata al rap, dai vocalizzi alla parte melodica.

C'è qualche altra produzione con cui hai fatto questo lavoro?

Con Neffa ho fatto la stessa cosa, lui mi ha mandato un pezzo e io l'ho completamente stravolto, facendolo diventare più cattivo.

Se dovessi scegliere un brano più vicino alle tue corde?

Le strumentali giustamente mi piacciono tutte, sono 14 beat ma ne ho dovuti lasciare fuori almeno 60. Quindi queste sono le migliori, le mie preferite. Ammetto però che il pezzo di Neffa mi piace così tanto che lo ascolterei senza mai stancarmi. Noi ci siamo ritrovati, anche perché lui è di Scafati e io di Salerno, quindi ci conosciamo veramente da 20 anni. Quando mi ha contattato per "Amarammore", mi disse che stava facendo tutto in napoletano. Gli ho prodotto "Agg perz o' suonn" con Coez, ma quel disco è una bomba.

C'è una cosa di cui hai paura, adesso che è uscito l'album?

Sicuramente la cosa più difficile di questo progetto è stato coordinare tutto. Dalle etichette degli artisti, alle produzioni, ai social, alla data d'uscita. Un percorso fatto di incredibili difficoltà, e per questo devo ringraziare il mio team che mi è stato vicino in maniera incredibile. Sono orgoglioso di ciò che abbiamo fatto. La mia unica paura, in questo momento, è non riuscire a dare indietro a chi ha lavorato così tanto in questo progetto, non io, ma gli altri, tutto ciò che si meritano, attraverso i risultati del disco. Io ormai dopo questo disco, sto pensando già al prossimo, "Djungle" l'ho lasciato già andare.

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