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Abbiamo bisogno del pop de I Quartieri: “Nell’epoca delle playlist coltiviamo musica diversamente”

Uno degli album più interessanti del 2019, ma che continua a fermentare nella testa di chi continua ad ascoltarlo anche in questo 2020, è “ASAP”, secondo lavoro della band romana de I Quartieri. Siamo nel terreno del miglior pop nostrano, di una scrittura mai didascalica che lotta l’idea di playlist contemporanea.
A cura di Francesco Raiola
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È passato qualche mese dall'uscita di "Asap" (42 Record), l'ultimo album de I Quartieri – la band romana formata da Fabio Grande, Marco Santoro e Paolo Testa -, ma resta forte impressa in testa la sua bellezza. Un pop che non segue la moda del momento e per questo resta forte anche a un ascolto prolungato nel tempo, cosa a cui dovrebbero aspirare tutti i dischi. Lo fa anche grazie alle solide basi della band, che ha aspettato sei anni per dare un seguito a "Zeno" (2013), che si serve di testi che fuggono il gusto del didascalico e camminano per suggestioni, lasciando all'ascoltatore il gusto di riempire gli spazi tra le immagini, mentre musicalmente i riferimenti dichiarati sono da sempre quelli a Radiohead e Grizzly Bear, ma con un gusto che in qualche modo li tiene legati alla bella storia dell'indie pop italiano, dai Perturbazione ai Virginiana Miller, passando per giovani come Colombre (di cui Grande è stato co-produttore del precedente e lo sarà del nuovo). E, ci spiegano, anche l'ascolto dell'hip hop americano ha avuto la sua importanza: "Quegli ascolti ci hanno spinto ad asciugare molto le ritmiche, a trovare certe soluzioni ritmiche tra basso e batteria, che hanno portato la scrittura verso certe direzioni". La band sarà in tour a marzo e aprile: il 20 al Diavolo Rosso di Asti, il 21 all'OFF di Modena, il 22 al Senzatempo di Fano (PU), il 25 al Retape Auditorium Parco della Musica di Roma, il 17 aprile al Bookique di Trento e il 18 alle Officine Meca di Ferrara.

"Siri" è un pezzo sulla Siria. Un brano costruito con immagini che solo in certi punti, se non sai prima di cosa parla, ti rimanda all’idea che ho letto avevi. Uso questa canzone come pretesto per chiederti come ci lavori sulle suggestioni per farle diventare parole.

Quando vuoi costruire un significato parole e immagini si equivalgono. Nel caso di Siri, volevo arrivarci facendo un giro più largo. Ho provato a immedesimarmi nella testa di una persona che vive in una condizione di precarietà, di occupazione coatta, di pericolo per la propria incolumità: una situazione di guerra. Ho provato a mettere in ordine le reazioni più mentali, più psicologiche, senza contestualizzarle con precisione, perché è quello che tutti noi facciamo quando reagiamo a una data situazione, sorvolando sulle cause, che sono oggettive, sono davanti a noi, ma abbandonandoci al flusso di coscienza. In sostanza il flusso di coscienza è una delle cifre liriche di questo disco.

È una scrittura che di didascalico ha molto poco, ho come l’impressione che pur in una precisione formale molto spiccata, tu abbia voglia di lanciare suggestioni più che accompagnare con la mano. Dimmi se è una sovrainterpretazione o il classico mito dell’ascoltatore che si fa mille viaggi rispetto alla semplicità dell’atto creativo.

Hai detto bene, è proprio così. Sono suggestioni proprio perché rappresentano più la reazione emotiva, e non una storia, non un luogo, non una persona. Diciamo che le canzoni di questo disco sono più la trascrizione dei miei pensieri.

A proposito di atto creativo, domanda più generale: come nasce una canzone de I Quartieri?

Ogni canzone ha una storia a sé. A volte un brano sembra già arrivare compiuto nel suo stato primordiale, la prima volta che lo butti giù, altre volte arriva uno spunto che invece ha bisogno di essere elaborato, cambiato, maneggiato a lungo prima di diventare una canzone compiuta. Questo disco in particolare è stato il frutto di un lavoro più collaborativo all’interno della formazione. Magari portavo qualche spunto in sala prove per mettere insieme le idee. Altre volte la musica nasce suonando per ore senza un obiettivo preciso: è il caso di "Vacanze su Marte", il cui testo l’ho scritto solo dopo avere una bozza strumentale già avviata.

Siete un po’ una band che si pone fuori da alcuni canoni, quello che dicevo su lo dimostra. Qualche anno fa forse sareste stati più catalogabili, oggi, col crollo dell’idea ‘indie’ come la conoscevamo, forse un po’ meno. Che spazio avete, oggi?

Non saprei davvero. Più che altro non approcciamo alla musica pensando quale spazio potremmo occupare, non lo facevano neanche quando la musica indie si riferiva ad altro. Abbiamo sempre pensato di fare canzoni e di produrle secondo il nostro gusto, parlando delle cose che sentiamo vicine alla nostra sensibilità. Il fatto che il nostro linguaggio non coincida con l’attuale trend non è una scelta di vuoto antagonismo, ma di semplice coerenza artistica.

Vi chiedono spesso i riferimenti musicali, io invece, leggendo i vostri testi e la costruzione, vi chiedo se avete riferimenti letterari.

Sì ci sono riferimenti letterari, anche se magari non finiscono direttamente nei testi sotto forma di citazioni o cose così. Calvino, Breat Easton Ellis, Svevo, McCarthy, Carver, Eliot, Simenon ma anche Zerocalare, David B., Oesterheld sul lato del fumetto.

“Se non hai tempo non hai niente” fa il paio con il titolo che avete dato all’album. Si può vivere in maniera lenta in questo mondo musicale che vive di costanti cambiamenti, soprattutto in questi anni?

Sì che si può, ma devi avere le spalle molto larghe oppure devi accettare di non fare parte di una certa economia. Dipende dalle priorità che hai. Nell’epoca delle playlist o ti dai in pasto continuamente a questo gioco oppure coltivi le tue cose diversamente. Magari le cose prenderanno un passo più umano in futuro, ma attualmente i presupposti fanno pensare che questo processo di accelerazione sarà ancora la caratteristica principale della cultura dominante. Questa dinamica non riguarda solo la musica e la produzione artistica, ma ci coinvolge anche nelle dinamiche sociali e umane, cambia il nostro modo di pensare, premia la quantità a discapito della qualità, la superficie a discapito della profondità, l’effetto speciale a discapito di un contenuto più complesso.

Mi parli di questo “certo hip hop da cui in qualche modo hanno ripreso (e suonato) le ritmiche” che leggo in nota stampa?

Abbiamo ascoltato a fondo parecchi dischi mentre producevamo, in particolare "To Pimp a Butterfly" di K. Lamar, "Sour Soul" dei Bad Bad Not Good e Gostface Killah, "Donuts" di J Dilla e altri. Questo ascolti ci hanno spinto ad asciugare molto le ritmiche, a trovare certe soluzioni ritmiche tra basso e batteria, che hanno portato la scrittura verso certe direzioni. Chiaramente non è un disco Hip Hop, ma questi dischi hanno avuto un ruolo chiave nell’ideazione. Poi ci sono altre centinaia di dischi e artisti che hanno avuto e hanno un forte impatto sulla nostra produzione. 

Il lavoro per la tv e per il cinema, invece, come procede?

Collaborare con Suburra è stato bello e appagante. Non ce lo aspettavamo: ci hanno chiesto tre delle nostre canzoni. Attualmente siamo in contatto con un’altra produzione, capiremo se questa cosa andrà in porto. Siamo tutti molto appassionati di cinema e siamo sempre pronti a collaborazioni in questo senso.

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