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Thegiornalisti: il pop retrò che fa da ponte tra indipendente e mainstream

I Thegiornalisti sono una band romana che al terzo album, “Fuoricampo”, ha riscosso una grande attenzione pur vivendo nel mondo indipendente. Il loro è un pop che si nutre di un mood retrò, ma con testi che guardano all’attualità.
A cura di Francesco Raiola
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Ci sono dei piccoli fenomeni del panorama indipendente che a volte toccano, per qualche motivo, un pubblico un po' più ampio. Ci sono dei piccoli fenomeni del panorama indipendente che a volte meriterebbero panorami più ampi, non fosse altro per la musica che fanno e la propensione a voler raggiungere chiunque, senza rinchiudersi in un alcun tipo di snobismo, grazie a una miscela di pop che nonostante la poca adesione ai canoni facili dell'heavy rotation potrebbe addirittura piacere a più pubblici. Forse il nome non aiuta i Thegiornalisti a realizzare questo passo, però i loro riferimenti – il cantautorato pop che include Dalla, Venditti, Carboni -, la musica e i testi brevi, concisi, ma sempre puntuali e attuali, potrebbero dare una spinta a questo progetto che ormai è arrivato al terzo album, e scalpita.

I brani di "Fuoricampo", il loro ultimo album, pubblicato da Foolica, ti si piazzano in testa dopo pochi ascolti e le melodie retrò danno un tocco nostalgico che non risulta mai stantìo. Sono una boccata d'aria fresca, per chi non ha paura ad ammettere l'apprezzamento per il pop vero e proprio, "gigante", come ci dice il cantante del gruppo Tommaso Paradiso, "non una fighetteria indie". Insomma non aspettatevi i The Strokes ma, sottolinea il cantante, anche i continui riferimenti al passato – benché in parte ricercati – non sempre sono il punto giusto da cui partire, anzi dovrebbe essere una componente come le altre: una cosa molto italiana, dice, a differenza di quello che succede all'estero, dove nessuno si sognerebbe di fare subito paragoni, usati talvolta per sminuire o sottolineare la poca originalità.

Il pop dei Thegiornalisti vive comunque di un immaginario molto anni 80, fatto di ricordi e film – come dimostra, ad esempio "L'importanza del cielo – Miyazaki" -, ma anche di testi d'amore e "promiscuità" che sono, in fondo, due facce della stessa medaglia, e riflessioni sulla contemporaneità, come avviene in "Mare Balotelli".

Ciao Tommaso, il vostro è uno di quegli album che si pianta in testa dopo pochi ascolti. È merito anche del sound pop, appunto, e di testi brevi, concisi, precisi. Come nasce “Fuoricampo” e nel particolare, come nasce una canzone dei Thegiornalisti?

"Fuoricampo" è nato quasi subito dopo il secondo disco. L'intenzione era di fare un terzo disco così, avevamo già in testa di provare a fare una cosa che appartenesse più al nostro passato recente, agli anni 80 e 90, per riprendere quella musica con cui siamo cresciuti e che ascoltiamo anche adesso, anche con certi innesti cinematografici, una cultura melanconica e malinconica di quei film anni 80 che ti facevano ridere ma finivano con una sospensione con un senso di amarezza. Per quanto riguarda la scrittura, queste canzoni sono partite sempre dal testo, rispetto a prima quando succedeva che potevano nascere anche da una parte musicale, invece in questo disco i testi, le storie che si volevano raccontare, sono state molto mirate, quindi la canzone, a livello strumentale, è nata intorno alle parole, alle storie, appunto.

È un album che rimanda anche a certe atmosfere cinematografiche come hai detto e come canti, ad esempio, in "La fine dell'estate": “La mia malinconia è tutta colpa tua, è solo tua la colpa è tutta tua e di qualche film anni '80”. Da cosa ti fai influenzare quando scrivi?

Da due cose, generalmente: le esperienze personali, quelle significative, che ti girano in teste e di cui vuoi assolutamente parlare. Le canzoni di questo Fuoricampo erano 30 e poi ne abbiamo scelte 10, perché erano quelle i cui argomenti erano più importanti per noi. La seconda cosa sono il cinema e l'arte che mi influenzano tantissimo. Per esempio, nel caso di Miyazaki… era talmente tanto che volevo parlare del mondo che ha creato e che ci segue da piccoli – Lupin III e Conan sono cartoni con cui siamo cresciuti – e sono riuscito a unire l'importanza del volo in Miyazaki e quello dei ragazzini. Sai, quando ero piccolo sognavo spesso che entravano in casa persone malvagie e io aprivo il balcone, consapevole di poter volare, e infatti riuscivo sempre a volare e non mi schiantavo mai.

Ho letto che le canzoni che non erano così quando sono nate. Sei stato aiutato?

Beh, sì, tutto l'impasto sonoro è nato in seguito. Noi le suonavamo già con la tastiera, però la virata definitiva è arrivata con Matteo Cantaluppi, che l'ha prodotto, ed è stato bravo a creare quei suoni che gli abbiamo portato, però lui li ha fatti diventare una cosa importante

“Fuoricampo”, l'abbiamo detto, ha un'aria retrò, ma questo lo sapete bene, che pesca a piene mani in un sound caro, come avete spesso ricordato voi stessi (e come vi ricordano spesso) a Dalla e che vi devo dire, talvolta anche a Carella. Oggi, nel 2014, perché guardare a quei cantautori?

Queste domande intorno a Dalla nascono perché in alcuni momenti del disco con la voce ci sono andato più vicino e mi sono anche divertito, perché è come quando Nanni Moretti, nei film cita Pasolini. Nella musica le citazioni vengono subito messe davanti, indicate. Quando mettemmo "Promiscuità" sul nostro canale Youtube, i primi commenti giocavano a far riferimento a vecchi cantautori, c'è chi diceva Dalla, Venditti, Carboni ed è una cosa molto italiana. Nelle nostre canzoni Dalla, Venditti, sono solo dei richiami che uno fa per dire ‘Guarda, nella mia vita sono stati importanti anche loro', ma poi in realtà il disco è molto contemporaneo soprattutto nella parte testuale: cioè, sono storie di oggi, quindi c'è qualche richiamo a qualche eco del passato nella parte musicale. Poi, ovviamente, se metti una nostra canzone vicina a una degli Stadio, Venditti etc, ti rendi conto che sono molto diverse. Poi, non nego che sia stata una cosa un po' voluta, ma come omaggio, soprattutto.

La band presenta come un “tornare alle origini senza sprechi di tempo senza vergogna, immersi dalla testa ai piedi in quella cultura pop in cui siamo cresciuti“. Perché "vergogna"? Pare che chi faccia pop debba in qualche modo giustificarsi (spesso vale anche per chi lo ascolta). Come se si sentisse il bisogno di giustificare continuamente un “guilty pleasure”…

Guarda a rileggere, in effetti, non l'avrei usata quella parola. Forse l'unica motivazione che posso darti – ma forse non c'entra nulla – è che è un disco molto lontano dal mondo indipendente e invece il nostro debito è quello lì e magari è più una cosa per dire che è un pop ‘gigante', non una fighetteria indie. Ricordo quando Nicola Cani (manager della band, ndr) ci disse ‘Mi fate impazzire perché mi ricordate Venditti'. E legare Venditti a quel mondo fino a qualche tempo fa era un'eresia. Mi piacque anche quello che una volta Alessandro Raina disse su di noi: ‘Spero che quella band possa essere il ponte tra il mainstream e la musica indipendente". Alla fine era solo per menzionare quell'attitudine con cui abbiamo scritto il disco. Era un modo per dire: ‘Attenzione è un disco estremamente pop, non v'aspettate che facciamo gli Strokes un'altra volta'".

Te lo chiedevo perché quest'attitudine pop nell'indie non è assente, penso a Numero 6 e anche la commistione tra i mondi comincia a farsi avanti, come successo coi Perturbazione e Carboni. Ma poi, in fondo, ti chiedo, l'idea non è quella di arrivare a quanta più gente possibile?

Il mio desiderio sarebbe che grazie a una bacchetta magica in tutte le case degli italiani si potesse ascoltare "Fuoricampo", una filodiffusione dalle pareti di tutte le case italiane. Guarda sto notando che un sacco di persone ci stanno aiutando tantissimo dicendo ‘Ragazzi questo è un disco che deve arrivare', da ascoltare e io sono quasi commosso.

Prima era la campagna di "Diamo tempo al tempo" a ricordarci di stare sereni, ora riscopriamo "L'importanza del cielo". Possiamo dobbiamo intenderlo questo invito alla semplicità? Cos'è, una sorta di manifesto dei Thegiornalisti?

Ogni tanto ti rendi conto che… è come dopo una grande sbornia, quando dici ‘Non bevo più' poi ci ricaschi. E le canzoni servono anche a non bruciarci, sono come quelle frasi dopo la sbornia. Sai ogni tanto si corre veloce per arrivare, arrivare – che è anche giusto – però a un certo punto ci vogliono anche quei momenti in cui devi saper dire ‘Andiamocene in campagna a stare sereni e tranquilli'. Fuoricampo è un album che ti fa riflettere, certo, ma ti invita a prendere in mano le redini in alcune situazioni.

Tommaso, senti, ma esiste una scena? Ve ne sentite parte?

Mi sento parte di alcune amicizie che ho fatto nel corso di questi anni e in questo senso la posso definire una scena, ma sono scene di ragazzi che si sono conosciuti perché fanno la stessa cosa e abbiamo creato anche un bel rapporto, sincero, ci sentiamo al di fuori, parliamo poco di musica. Ad esempio, sento un legame molto bello con Lodo de Lo Stato Sociale, con Niccolò Carnesi, con Contessa de I Cani. Questa è la mia scena. Alla fine la cosa bella, in realtà, è che ognuno fa le sue cose. In questo momento c'è, nei gruppi più ascoltati, ognuno ha la propria caratteristica e la riconosci molto.

Pensavo proprio a voi 20/30enni che raccontate quel mondo. Senti, ma la pazzia di provare Sanremo la farete? Insomma il sound, alla fine, potrebbe anche trovare un'accoglienza positiva. E negli anni scorsi – vedi Perturbazione – il pop meno commerciale è già salito sul palco dell'Ariston.

Guarda, è una vetrina disumana solo che bisogna fare attenzione, devi andarci nel momento giusto, e io non so dirti qual è. Ti può affossare per sempre, un po' come andare a un reality, che se arrivi secondo sei finito. Su Youtube c'è un bel servizio sulla RCA che ti spiega come è cambiato il mondo della musica: prima davano delle chance a Piero Ciampi, anche allo stesso Dalla, che ha bucato i primi dischi, ma visto che ci credevano, investivano, investivano, investivano. Oggi non puoi sbagliare un colpo, basta toppare una cosa e sei finito, e andare a Sanremo è uguale. Diciamo che mi piacerebbe fare l'autore per Sanremo, dare dei brani, come artista ci vai, ma poi devi stare molto attento, se no rischi di bruciarti il percorso.

Se dovessi scegliere un autore da far ascoltare a chi non ha idea di cosa sia il cantutorato pop italiano su chi cadrebbe la scelta?

Io consiglierei di ascoltare tante cose. È molto più facile far ascoltare Brunori perché è uno che riesce a comunicare anche a un pubblico un po' più adulto, perché è uno che è inserito nella canzone italiana. Mi piacerebbe che anche noi, prima o poi, potessimo essere inseriti nella "canzone italiana" senza distinzione di generi o categorie. Brunori è uno di quelli che faccio ascoltare volentieri anche a chi ascoltava De Andrè, De Gregori… Poi ci sono anche "Glamour" de I Cani o Paletti e… i Verdena, perché sono una band gigantesca.

Il passaggio tematico da “Per lei” a “Promiscuità” (prima e seconda canzone del disco, ndr) è un caso?

Guarda in realtà dovrebbe esserci "Per lei" in "Promiscuità", è la stessa ragazza per cui è scritta "Per lei" si trova benissimo in "Promiscuità". Quest'ultimo è un pezzo innamorato, non è una canzone che parla di lussuria. È più quasi una promiscuità d'amore e di sentimento. Poi ci sta il fisico, ma il fisico è una cosa bella: le tette, le gambe. C'è chi lo vede in maniera animalesca e chi, invece, lo vede in senso più romantico. C'è più sentimento di quello che uno può pensare.

A chi ti rivolgi quando canti "Proteggi questo tuo ragazzo"?

Guarda, quando l'ho scritta doveva essere la mia ragazza, però poi come mi hanno fatto notare quella canzone può essere rivolta a chiunque, a tuo padre, a tuo nonno, a un amico. È una richiesta d'aiuto universale, non c'è una specifica realtà in quel pezzo. 

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