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Tempo di rifiorire

Si avvicina il momento del ritorno dei Flor di Catania, una delle migliori band italiane degli anni ‘90. Visto che l’ultimo album di Marcello Cunsolo e compagni risale addirittura al 1995, è lecito definirlo sospirato.
A cura di Federico Guglielmi
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Il grande libro del rock abbonda di storie curiose, e le pagine dedicate a quello italiano non fanno eccezione. La vicenda qui narrata inizia nella Catania degli ultimi anni ‘80, dove moltissimi giovani – forse più che in ogni altra nostra città, in proporzione – ascoltano rock che per l’epoca è di sicuro “alternativo”, dai R.E.M. ai Dream Syndicate fino 10,000 Maniacs e Pixies. I ragazzi, quale più quale meno figliocci dei pionieri Denovo, acquistano vinili import da “Rock 86” e inevitabilmente mettono su gruppi. Fra questi ci sono i Flor de Mal di Marcello Cunsolo, cantante/chitarrista e songwriter che sogna l’America ma non rinnega le radici. Non è un esteta della musica, ma illuminato dall’istinto, dalla passione e da un talento certo definibile come visionario si fa le ossa a livello locale, finché in prossimità del cambio di decennio si imbatte in un altro catanese che ha l’aspirazione di fondare un’etichetta e i mezzi per tradurre l’idea in realtà. Lui si chiama Francesco Virlinzi e la sua Cyclope – che in seguito lancerà, fra gli altri, Carmen Consoli, Moltheni e Mario Venuti – nasce proprio per sostenere i Flor de Mal: nel 1991 il primo album, omonimo, inaugura il catalogo con dodici brani all’insegna di un folk-rock in inglese ora pacato e ora aggressivo, sospeso da qualche parte fra gli Stati Uniti e il Mediterraneo ma a tratti imbevuto delle suggestioni care agli australiani Died Pretty. Un esordio convincente, ricco di vivacità e vigore ma ancora acerbo, che porta ad accresce il bagaglio di esperienze, dalla partecipazione a un CD-tributo internazionale ai R.E.M. a una serie di concerti al di là dell’Atlantico.

I veri Flor de Mal sono però quelli di “ReVisioni”, che nel 1993 ratifica il quasi totale accantonamento dell’inglese a favore dell’italiano e del siciliano e l’approdo a un sound più maturo e personale, ben immortalato in tre studi fra il New Jersey, la Georgia e Catania. I cammei di Peter Buck e Natalie Merchant fanno notizia, ma la forza del disco è tutta nelle freschezza e nell’estro della scrittura, nella vibrante incisività delle trame strumentali, nel carisma di un canto sgraziato ma di notevole forza espressiva. Due decenni dopo, episodi come “U secunnu” o il singolo “Re dell’est” non odorano davvero di muffa, così come il resto di una scaletta che oscilla fra asprezze r’n’r, fragranze bucoliche, reminiscenze hippie, atmosfere misticheggianti. ”In effetti mi sento molto vicino alla natura e ai suoi riti”, dichiarò all’epoca Cunsolo proprio al mio microfono, “e sono attratto dalle grandi contraddizioni che sono insite in ogni dottrina religiosa. Ho scelto di vivere in campagna, quasi da eremita, perché sentivo il bisogno di recuperare una certa dimensione di vita, di trovare i ritmi adatti alla mia personalità”. Troppo particolare per affermarsi a livello di massa, il terzetto si accontenta di raccogliere buoni riscontri di culto e nel 1995 – con il nome accorciato in Flor – realizza sempre per la Cyclope il terzo album “Aria”, più orientato verso il folk ma non meno ricco di ispirazione. La concreta possibilità di un ulteriore incremento dei consensi è però stroncata dalla decisione del leader di allontanarsi dalle scene: una rinuncia alla carriera, più che un autentico ritiro, scandita da lunghi silenzi e da sporadiche apparizioni dal vivo.

Marcello Cunsolo
Marcello Cunsolo

A meno di ripensamenti, i primi mesi del 2014 dovrebbero comunque vedere il ritorno dei Flor con un disco marchiato dalla The Prisoner di Michele Bitossi (Numero6), attualmente in fase di registrazione in quella Genova dove Marcello Cunsolo si è pure esibito una ventina di giorni fa in veste chitarra/voce. Non un fulmine a ciel sereno, giacché la fine del 2012 aveva visto – quella, sì, a sorpresa – l’uscita per la ViceVersa di “Lieve”, il debutto solistico solo in vinile dello sfuggente artista, ma di sicuro un evento sul quale fino a poco tempo fa ben pochi avrebbero scommesso. E l’annuncio che la label ligure ristamperà i tre vecchi lavori legittima le speranze che il rientro sia in pianta stabile. “Anche se amo la pace e la solitudine, e per me suonare è in qualche modo catartico”, mi disse ancora Marcello, “mi piace comunicare emozioni ed energie attraverso la musica”. Qualcosa suggerisce che la situazione non è mutata, e che non è da illusi confidare in nuovi, affascinanti incantesimi.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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