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Renzo Rubino presenta “Il gelato dopo il mare”: “Non mi divertivo più con la musica”

“Il gelato dopo il mare” è il ritorno discografico di Renzo Rubino, un talento della musica italiana che a un cerro punto, però, si era allontanato da un mondo troppo plastificato: il ritorno alla semplicità, alla sua terra e alcuni incontri però lo hanno riportato in pista: “Ad un certo punto la musica è tornata a trovarmi”
A cura di Francesco Raiola
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Renzo Rubino
Renzo Rubino

A un certo punto Renzo Rubino aveva quasi scelto di smettere con la musica, mancava l'entusiasmo, ci ha spiegato, e così se n'è andato in Puglia, tornando alla vita semplice, lontana dal giro che conta e aiutando il nonno a mettere a posto la casa di campagna. Ritrovare i valori principali e gli affetti. Poi l'incontro con Matteo Zanobini, fondatore della Picicca Dischi gli ha dato l'input per riprovare e a quel punto, però, il nonno se l'è portato con sé, sulla copertina del suo nuovo album, "Il gelato dopo il mare", quarto album per il ragazzo che aveva stupito l'Italia con "Pop" prima e "Ora", poi: "Mi sono chiesto se mai avrei accettato di vivere una vita che non mi apparteneva, plastificata e poco lucida (…). Ho vissuto le cose che mi facevano stare bene, ad un certo punto la musica è tornata a trovarmi".

Il passaggio dall’Intro al primo pezzo dell’album sembra rispecchiare proprio quel miglioramento d’animo che c’è stato nel passaggio dalla vita da supereroe a quella della tranquillità. Ma forse è la solita sovraintepretazione di chi ascolta…

Fiabe, così si chiama l'ouverture che apre questo disco, è un modo per entrare dalla porta principale e far sentire il mio stato d'animo nel momento in cui ho deciso di scrivere, quello esatto in cui avevo ripreso i miei spazi e abbandonato il mio disordine. Per ritrovare il mio supereroe dovevo ripulirmi.

Poi arriva quel “Non ce la faccio più, non ce la faccio più” che dà un po’ l’idea di quello che racconti essere stato il lavoro attorno a questo disco. Non ce la facevi più?
Non mi divertivo più. Le giornate erano sempre più strette e stavo perdendo di vista l'obbiettivo, vivere, divertirmi, raccontare, fare musica.

È vero, quindi, che a un certo punto hai pensato che avresti anche potuto smettere?
Mi sono chiesto se mai avrei accettato di vivere una vita che non mi apparteneva, plastificata e poco lucida. Dovevo ritrovare la mia cialtroneria, quindi sono tornato a vivere in Puglia, ho messo a posto la casa in campagna di mio nonno e mi sono dedicato a passioni lasciate per strada, l'orto, la scultura, la pesca. Ho vissuto le cose che mi facevano stare bene, ad un certo punto la musica è tornata a trovarmi.

Poi è arrivata la scrittura e “Il gelato dopo  il mare”, che è un’immagine che racchiude bene quella della tranquillità e del riappropriarsi di una certa leggerezza.
Il gelato dopo il mare sono mio nonno e mia nonna che si regalano la cioccolata ogni giorno, è il mio vecchio pianoforte, è tenersi per mano aspettando un tramonto e ubriacarsi aspettando il mattino, è la quiete in un gesto semplice alla portata di tutti.

Ci sono stati un po’ di incontri a caratterizzare questo periodo, quelli con Matteo Zanobini e Taketo Gohara, il ritorno al contatto con i tuoi luoghi anche in fase di registrazione. Ce li racconti un po’?

Dovevo rimettermi in careggiata e volevo che questo album fosse raccontato nel modo più sincero possibile. Una sera d'estate ho incontrato Matteo con una 0,4 affacciato sulla Valle d'Itria che mi consigliava di lavorare con Taketo. Come in un film, era tutto scritto. Quella serata per me rappresenta l'inizio di un nuovo viaggio. Taketo ha deciso di prendersi questo macigno, perché come pochi aveva capito le mie canzoni, il messaggio. Ha portato con sé il suo dream team, io il mio, il risultato è stato espositivo. Tutti i musicisti si sono annusati, stimati, hanno sentito i miei stati d'animo. È stato un disco itinerante, registrato in campagna, in Toscana, a Milano e Peschiera.

Ma l’incontro principale, lo spiegavi prima, è stato quello col tuo vecchio pianoforte, giusto?
Anche lui è stato rimesso a posto ma non avrei mai immaginato che sarebbe finito in un mio disco. Pensa che qualche mese prima avevo deciso di darlo via per questioni di spazio, in qualche modo tutto torna.

Oggi, con l’album fuori, e i primi riscontri, cos’è La la la?
Il pensiero libero più di ogni altra cosa.

Da qualche anno mi ritrovo a parlare con artisti che hanno in Dalla un vero e proprio punto di riferimento. Ecco, è anche il tuo: gli hai dedicato un paio di pezzi, giusto?
Per tanti rappresenta una sorta di papà artistico, un consigliere, un modello. Ma credo che la cosa più grande che abbia insegnato è il perseguimento di un modo unico e concreto di dire le cose in musica. Lucio va ammirato, va cantato ma per quanto riguarda la propria arte va dimenticato.

4 album, 29 anni, due Sanremo e svariati riconoscimenti: insomma, non è solo il talent a logorare i giovani. Cosa significa, realisticamente, rallentare, in questo mondo?

Non credo di essere logorato, semplicemente la componente ludica non c'era più, questa pressione nell'arrivare, dell'omologarsi e dell'esserci sempre non faceva parte della mia strada. Io ho necessità di essere sul palco, di poter passeggiare con chi decide di abbracciare le mie canzoni. Rallentare è l'unico modo che conosco oggi per sopravvivere.

In un mondo, quello discografico e musicale, molto veloce, talvolta immediato, la lontananza non rischia di portare il pubblico verso altri lidi?
La musica non credo sia un lido, bensì una forma d'arte, se la cappella Sistina è lì e viene visitata da milioni di persone dopo decenni vuol dire, non che ha superato la concorrenza (che per altro in musica non deve esistere) ma perché oggettivamente ti lascia senza fiato. Il nostro compito è quello di cercare di lasciare qualcosa di unico e non catalogabile. Per farlo ci vogliono lacrime e competenze, tempo e dedizione. Bisogna prendersi dei rischi.

“Il segno della croce” e “Pregare” cono titoli che rimandano a una presenza della spiritualità… (anche in maniera critica, come quando canti “Usi il segno della croce male, lo usi per giudicare, ripulire i tuoi errori…”)
Chi ha tanta fede è fortunato, io credo nel bene e nell'entusiasmo.

Innamorato della lentezza, sconsolato, superinutile , un po’ vulnerabile. Sono alcune delle caratteristiche che ti attribuisci in queste canzoni (o, comunque, attribuisci all’io che le popola). Se dovessi sceglierne una quale sceglieresti per descriverti oggi?
Senza alcuna ombra di dubbio innamorato della lentezza, sono fondamentalmente pigro.

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