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Quando i Goblin scrissero la storia con la colonna sonora di “Profondo rosso”

Nel 1975, esattamente quattro decenni fa, un gruppo italiano al debutto scalava le classifiche con la colonna sonora del nuovo film di un regista già famoso. Una strana vicenda che, approfittando della ricorrenza, vale la pena ricordare.
A cura di Federico Guglielmi
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In questi stessi giorni di quarant’anni fa, le classifiche italiane di LP e 45 giri stavano registravano l’inesorabile ascesa – con vari mesi di ritardo rispetto alla diffusione sul mercato dei vinili – di “Profondo rosso”, colonna sonora dell’omonimo, quinto film di Dario Argento. Album e singolo erano già entrati nei Top 10 e a inizio dicembre avrebbero entrambi raggiunto le vette delle rispettive graduatorie, al tempo denominate “Hit Parade”; vi sarebbero rimasti a lungo, con risultati trionfali pure per quell’epoca in cui i dischi andavano via come il pane. C’entrava ovviamente il successo della pellicola, apprezzatissima dal pubblico benché – come spesso accade – trattata con sufficienza dalla critica, ma c’entrava soprattutto il fascino irresistibile del tema portante, di immediato appeal nonostante l’assenza di parti cantate. Dichiaratamente ispirato, quantomeno nel ricorso a trame ripetitive e quindi ipnotiche, a “Tubular Bells” di Mike Oldfield (anch’esso legato al cinema: tutti ricordano “L’esorcista” di William Friedkin, uscito nelle sale sul finire del 1974), “Profondo rosso” – il pezzo – è senza dubbio uno degli strumentali italiani più famosi di sempre, e le sue fortune ebbero un peso decisivo per il prosieguo di carriera della band di giovanissimi esordienti che l’aveva firmato, i Goblin.

Non è certo questa la sede idonea a raccontare nel dettaglio la saga del gruppo, passato attraverso un’infinità di cambi di organico e di formazioni parallele; basterà dire che il tastierista Claudio Simonetti, il chitarrista Massimo Morante e il bassista Fabio Pignatelli – ovvero il nucleo-base, rimasto assieme fino quasi a fine decennio – incise quasi tutto il 33 giri con il batterista Walter Martino ma lo completò – con “Death Dies”, scelto pure come retro del singolo – dopo il suo avvicendamento con Agostino Marangolo. Curiosa, la storia dietro l’ingaggio del quartetto. Secondo le testimonianze, il già affermato regista avrebbe voluto commissionare le musiche addirittura ai Pink Floyd, ma in seguito al loro cortese rifiuto – stavano lavorando a “Wish You Were Here”, si può capirli – ripiegò su Giorgio Gaslini, già all’opera nel precedente “Le cinque giornate”. Quanto abbozzato dal celebre jazzista milanese, però, non convinse Argento, che desiderava qualcosa di più moderno e rock; da qui, acclarato che affidare i pezzi scritti da Gaslini a superstar come Emerson, Lake & Palmer avrebbe comportato un costo eccessivo, l’azzardo di dare fiducia a quei ragazzi poco più che ventenni conosciuti grazie a un demo giratogli da Carlo Bixio, il boss della Cinevox; i dissapori fra il compositore e il regista portarono poi alla promozione dei Goblin – così ribattezzatisi per l’occasione: in origine si chiamavano Oliver – da semplici interpreti a responsabili effettivi della colonna sonora. Le note di copertina del LP recitano “Musica di Giorgio Gaslini – Idee, arrangiamenti, esecuzione Goblin”, ma le ristampe riporteranno molto più correttamente “Musica di Giorgio Gaslini e Goblin”. Assai probabile che, quattro decenni fa, si fosse attribuito al jazzista un contributo maggiore di quello effettivo, sia per questioni di “nome”, sia per evitare controversie legali.

A dirla tutta, oggi Dario Argento assegna alla band il 90% della paternità dell’album; esagerando, è lecito ritenere, visto che se il primo lato (con la title track, “Death Dies” e “Mad Puppet”) punta maggiormente verso il rock, il secondo vanta un’inequivocabile impronta jazz. Comunque, fatti salvi i motivi di interesse e il valore dell’intera scaletta, non è affatto eretico affermare che, senza il “main theme” e le sue incalzanti/inquietanti architetture di batteria, basso, chitarra e tastieroni, “Profondo rosso” non sarebbe mai e poi mai diventato… “Profondo rosso”. Per i Goblin, la fama conquistata così rapidamente fu assieme delizia e croce: al tempo, la popolarità come conduttore televisivo e musicista del padre di Claudio Simonetti, Enrico, li faceva guardare con sospetto dagli altri esponenti del folto circuito del rock progressivo, che un milione di copie vendute – tante ne totalizzarono, in appena un anno, quei “raccomandati” – non potevano nemmeno sognarle. E, poi, l’ensemble patì di sicuro la pressione di dover cercare di ripetere l’exploit, cosa riuscitagli un’unica volta, e non agli stessi livelli, con il tredicesimo posto di “Suspiria” nel 1977. Per chi fosse motivato ad approfondire “l’oggetto” ideale è il doppio CD confezionato nel 2005 per festeggiare il trentennale, che con le sue ventinove bonus track documenta brillantemente tutto il “work in progress”; è purtroppo deficitario per quanto riguarda le note esplicative ed è più coerente del cofanetto posto in vendita nello scorso luglio dalla Deep Red/Self, che agli stessi materiali di cui sopra aggiunge un ulteriore CD con il repertorio del musical, un EP 10” con quattro pezzi risuonati da Simonetti, un poster e una t-shirt. Chiunque altro può accontantarsi, si fa per dire, del mitico vinile con copertina apribile del 1975, che si può tuttora trovare senza grande fatica a cifre contenute.

https://www.youtube.com/watch?v=IaJ46lLIVmE
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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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