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Parole che soffiano nel vento: nelle canzoni di Bob Dylan c’è il racconto dell’America

Bob Dylan, premio nobel per la Letteratura 2016, ha cantato l’America e le sue contraddizioni: dai sogni e dalle speranze di una generazione al terrore della guerra e della bomba atomica, dalle paure della società agli incubi e alle emozioni più intime degli esseri umani.
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A cura di Enrico Tata
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I sogni e le speranze di una generazione che voleva cambiare il mondo, la paura e la delusione, gli incubi e i fantasmi della società, gli emarginati, l’amore e la fede, i fuorilegge e gli imbroglioni. E poi quei strani personaggi: Napoleone vestito di stracci, l'uomo Jolly che balla al canto dell'usignolo, Robin Hood travestito da Einstein, Miss Solitaria, i pirati con gli occhi storti, King Kong e i folletti. Nelle canzoni e nelle parole di Bob Dylan, come del resto certifica il Premio Nobel a lui assegnato oggi, c’è il racconto dell’America. Non solo in senso politico e storico: Dylan ha raccontato gli anni delle proteste, era accanto a Martin Luther King quando il reverendo ha parlato del suo “sogno” di integrazione davanti a 500mila persone a Washington, ha inveito contro i “padroni della guerra”, ha cantato il terrore della guerra del Vietnam e della bomba atomica. Ma già dalla seconda metà degli anni ’60 ha descritto le paure più intime della società americana, il dramma di ritrovarsi all’improvviso da soli, “senza né direzione né casa, come un perfetto sconosciuto”, in “Like a Rolling Stone”, le difficoltà nel credere in un Dio travestito da Jolly in “Jokerman”, le relazioni fallite e rassegnate in "Long and wasted years", anni lunghi e sprecati, del 2012, una canzone che parla di un amore in corso eppure già finito (ce ne sono pochissime di canzoni che parlano dell'amore in questo modo). E infine la paura, biblica, dell’Apocalisse. “Dovrebbe esserci una via d’uscita, disse il giullare al ladro. Qui c’è troppa confusione, non riesco a rilassarmi. I banchieri rubano il mio vino e i contadini arano la mia terra”, scrive Dylan in "All along the whatchtower", portata al successo, anche, da Jimi Hendrix.

"Dylan ci mostra la strada"

Molti, dopo l'abbandono dei temi di protesta e della chitarra acustica, accantonata e sostituita da quella elettrica e da una band alle spalle, gridarono al tradimento. Dylan è stato fischiato e contestato negli Stati Uniti, al folk-festival di Newport nel 1965, e durante un tour drammatico in Inghilterra. Ma la realtà è che ha sempre cantato e raccontato il suo tempo e le sue contraddizioni. Da questo è sempre stato ossessionato ed è per questo che nel 1964 John Lennon ha detto: “Lui ci mostra la strada”. Estremizzando, ma neanche poi tanto, è grazie a Dylan che i Beatles sono passati, in due anni, da “Love me do” a “Yesterday”.

Recuperare i racconti e i sogni descritti nelle canzoni popolari, dalle ballate inglesi del 1800 alle canzoni di protesta di Woody Guthrie, e descrivere la società e l’essere umano di oggi in tutta la sua debolezza: questa, da sempre, l’ambizione di Dylan che è diventata poi la missione di tutto il rock moderno. Il segreto di Dylan è stato riportare la società nelle canzoni, recuperare e attualizzare il messaggio delle ballate popolari, quelle canzoni che “parlano di rose che escono dal cervello della gente e di amanti che in realtà sono oche e cigni che si trasformano in angeli”. Canzoni che, dice Dylan, "non moriranno mai".

Dylan ha dato la parola al rock, ha detto qualcuno. E’ per questo che Tom Petty, storico rocker americano, può affermare che “Dylan ha influenzato praticamente tutto”. Il rock moderno deve tanto a Bob Dylan: è grazie a lui e alla sua ispirazione che la musica si è fatta, in qualche caso, letteratura. Tutti l'hanno cantato e tutti ne hanno preso ispirazione: dai Beatles ai Rolling Stones, da Bruce Springsteen a Patti Smith, da Joan Baez, per anni la sua musa, a Janis Joplin, dai Mumford and Sons a Jack White. Ma nessuna etichetta, nessun identità, può riassumere Dylan: “profeta generazionale”, “cantante di protesta”, “il menestrello d'America”, “erede della Beat Generation”. No, anzi non solo. "Mito, leggenda vivente, «poeta elettrico». Me ne frego. E mi rompe pure un poco.

Allora fammi scomparire tra gli anelli di fumo della mia mente

giù nelle brumose rovine del tempo, lontano dalle foglie gelate

dai terrifici alberi infestati dai fantasmi, su spiagge ventose,

fuori dal corso attorcigliato del folle dolore

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