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Paletti: ci risono, “Qui e ora”!

A due anni dalla convincente “prima”, (Pietro) Paletti concede il bis. Stessa formula ammiccante ma non stupida, maggiore maturità e il sostegno della potente Sugar. Sarà famoso?
A cura di Federico Guglielmi
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Contrariamente a quello che si potrebbe ritenere conoscendo un minimo i miei gusti musicali e la mia storica diffidenza per certe forme di (indie) pop, non ho un cattivo rapporto con la musica di Paletti. Rimasi in realtà un po‘ tiepidino nei confronti dei R‘s, già The Records, nei quali suonava il basso (credo ci voglia l‘imperfetto, essendo la loro pagina Facebook congelata a quattordici mesi fa), ma recensii in termini positivi il suo album da solista di inizio 2013, “Ergo Sum”, e non esitai a inserire la sua “Senza volersi bene” nella mia Top 10 di brani “alternativi” per l‘estate, ancora del 2013. Per inquadrare la proposta dell‘artista bresciano, classe 1980, scrissi di “una canzone d’autore che non ha paura di rivelare il suo amore per il pop imbastendo melodie piacevoli, ritmi accattivanti, inserti synth-etici, testi che ‘acchiappano’ (ma non sciocchi e/o irritanti) interpretati con discreto eclettismo”. Promozione piena, insomma, per un disco – edito dalla Foolica – che sembrava riallacciarsi al primo Max Gazzè ma qua e là faceva venire anche Battisti e il coevo folk-pop americano.

Oggi, 20 gennaio 2015, Paletti ha pubblicato il sequel, “Qui e ora”. Al confronto con il predecessore è meno stringato – contiene dieci brani, due in più – e soprattutto sfoggia il marchio di un‘etichetta vincente come la Sugar di Caterina Caselli: non proprio un dettaglio, visto come il mercato “di serie A” sia quasi sempre irraggiungibile, al di là della bontà del prodotto, per chi non frequenta i giri giusti. Fa peraltro piacere riscontrare che il passaggio dal circuito underground a quello ufficiale non ha comportato un imbarbarimento in senso commerciale del sound; benché spesso dotate di irresistibile immediatezza, le canzoni in scaletta mostrano infatti intelligenza e gusto, nelle elaborate trame strumentali avvolte in echi anni Ottanta così come in versi ora leggeri e sbarazzini e ora a loro modo di denuncia. Se l‘intento era realizzare qualcosa in grado di raggiungere le masse, ma che fosse ricercato e non banale, si può dire che sia stato conseguito.

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Poi, ovvio, non è escluso che Paletti rimanga in mezzo al guado: nessuno ha ancora risolto l‘equazione matematica del successo e va benissimo, dato che di pagliacci fatti in serie ne circolano già troppi. Ha buone frecce al suo arco, “Qui e ora”; non pretende (forse) di costituire una tappa decisiva nella storia della musica ma nel complesso funziona, con la sua vivacità, la sua autoironia, il suo equilibrio fra gusto ludico (si notino le citazioni battistiane in “Avere te”) e rigore artigianale. Che il livello del songwriting non sia pienamente omogeneo o che il canto lamenti a tratti limiti di autorevolezza rientra nell‘ordine naturale delle cose, e vedere il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto dipende solo da quanto si è esigenti. Con il suo pop elettronico ma non solo, che in più di una circostanza fa pensare a una sorta di Moby in versione tricolore (ad esempio, nella riuscita “Barabba”), Paletti potrebbe diventare un fenomeno di risonanza ben più ampia. Non scommetterei sul risultato ma faccio il tifo per lui, anche rischiando gli strali dei rocker “duri e puri”.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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