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Non Giovanni, cantautore pugliese che ha “deciso di restare in Italia”

Tra le giovani e più interessanti leve del cantautorato nazionale c’è un ragazzo pugliese, di Taranto, che uscirà a fine mese con il suo album di debutto. Si chiama Non Giovanni e dall’intervista che gli abbiamo fatto pare avere le idee molto chiare.
A cura di Francesco Raiola
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Non Giovanni, al secolo Giovanni Santese, è un cantautore pugliese che il 30 settembre esordirà nel vasto mondo del nuovo cantautorato italiano con l'album  "Ho deciso di restare in Italia", prodotto da Amerigo Veraardi
e pubblicato da Irma Records (etichetta, tra gli altri, di Joycut e Colle Der Fomento). Un ragazzo dal percorso vario, che ha deciso di intraprendere con convinzione la strada cantautorale intarsiata di pop ed elettronica e che, come da tradizione, fa molta attenzione ai testi, sia nella sostanza che nella forma: "Per scrivere un testo ci metto del tempo, anche mesi, mi piace lavorarci con calma e non considero chiusa la canzone finché ogni parola non si adegua al mio ideale di perfezione del momento" ci dice via mail. Non Giovanni è uscito da poco con un singolo, il secondo, dal titolo esplicito "Ho deciso di restare in Italia", in cui spiega quali sono, appunto, i motivi per cui andarsene non è la soluzione migliore. Un testo che gioca con gli stereotipi, anche perché, in fondo, dice "sono dei pilastri".

(Non) Giovanni ci racconti un po' chi sei oggi, visto che il tuo percorso è stato articolato e vario?

Sono un cantautore e vivo in provincia di Taranto. Ho vissuto prima a Roma, dove ho studiato filosofia e poi a Bologna dove ho insegnato per qualche anno. In questi anni ho sempre suonato ed ho sfornato alcuni dischi autoprodotti, ma da quando son tornato a casa son riuscito a raccogliere le energie e raggruppare le persone giuste per realizzare il mio primo vero album ufficiale. Mi divido tutt’ora tra queste due passioni assolutamente improduttive, la musica e l’insegnamento, e vediamo come andrà a finire.

Nella seconda traccia, “Io sarò famoso”, dopo pochi secondi urli: “Stop the folk!”, mettendo fine all'intro folk, appunto, per virare verso un sound più elettronico: è solo un caso o una dichiarazione d'intenti?

Quell’urlo, che per esattezza è di Franz, il mio tastierista, rappresenta l’incontro con i miei musicisti e l’uscita dalla dimensione chitarra e voce del cantautore classico. E’ un urlo liberatorio che apre le danze, la voglia di superare i limiti dei miei gusti musicali e di condividere con gli altri musicisti le canzoni, in un’ottica più vicina a quella di una band che del progetto solista.

E quella storia di Caparezza, invece? Sono solo motivi geografici?

Dunque, nella canzone rivolgo una critica a coloro che inseguono la celebrità ad ogni costo, anche accettando di diventare il sosia di qualcun altro pur di essere famosi. L’espediente per affrontare questo tema è un elenco di tutti i personaggi a cui mi hanno spesso associato, un po’ per reale somiglianza un po’ semplicemente per via dei capelli ricci, e nel ritornello dico che se mai per assurdo dovessi scegliere chi essere tra tutti quelli a cui vengo assimilato, quello sarebbe Caparezza, per cui nutro una profonda e sincera stima artistica. Ma la cosa resta nell’ambito dello scherzo ed è assolutamente ironica.

“Ho deciso di restare in Italia” è il titolo dell'album e di una delle canzoni. Come mai hai scelto questo titolo? Sei mai partito? Ci racconti la tua esperienza?

Ho scritto “Ho deciso di restare in Italia” non appena son tornato a vivere al sud: dentro la canzone ci sono tutte le sensazioni del momento, dal senso di precarietà alla voglia di riscatto, dalla fatica alla speranza. Una volta completate le altre canzoni dell’album mi è sembrato che il tema del vivere in Italia in questo momento storico riguardasse buona parte delle canzoni del disco. Ed ecco scelto il titolo. Come ti dicevo ho vissuto a Roma, città che adoro ma dal quale sono andato via alla ricerca di una dimensione meno folle sotto l’aspetto degli spostamenti e della vivibilità, e sono approdato a Bologna, una città invece forse troppo perfetta e che non ho mai sentito davvero mia. A questo punto, considerato che il problema forse ero io, sono tornato a casa dove almeno sapevo quello che avrei trovato, nel bene e nel male. Restava aperta l’opzione di andarmene all’estero, ma non l’ho mai davvero considerata, per vari motivi, tra cui la musica e la canzoni che scrivo: amo scrivere in italiano ed il mio pubblico non può che essere qui.

Nel pezzo racconti alcuni punti forti del nostro paese che, però, sono diventati quasi stereotipi. Non hai avuto paura dell'accusa di retorica che poteva esserti rivolta?

Quando scrivo una canzone, sono chiuso in un mondo che è ancora impermeabile alle critiche e ai commenti. Io scrivo quello che mi piace e che mi appassiona, quello che ritengo armonioso e coerente con la mia idea del brano. Poi dopo scopro che mi si può accusare di questo o di quello, ma cerco di non curarmene più di tanto. Siamo in un’epoca di saturazione. Per non cadere nella famosa retorica devi essere originalissimo e anche in quel caso possono accusarti di voler essere originale ad ogni costo. Gli artisti che cito nella canzone ad esempio sono tutti uomini che hanno segnato profondamente la mia formazione culturale, e mettendoli tutti insieme nella canzone ho voluto quasi stilare una ricetta personale per affrontare questo tempo, aggrappandomi a quanto di più bello la nostra cultura abbia prodotto. Per me più che stereotipi sono dei pilastri, anzitutto in senso personale, certo il fatto che siano personaggi “enormi” lascia spazio alle critiche, ma io voglio confidare in tutti coloro che sapranno vederci qualcosa di genuino invece, in quello che scrivo.

Il cantautorato italiano di questi ultimi anni pare vivere una stagione d'oro, qualitativamente parlando, ma di grande pubblico neanche l'ombra. Quale credi sia il motivo?

Lasciami dire però che i livelli lirici toccati da alcuni cantautori tra gli anni settanta e ottanta non sono stati raggiunti secondo me da nessuno dei contemporanei. Detto questo, non significa che i cantautori del momento non siano meritevoli di essere ascoltati da un pubblico ben più vasto da quello che a fatica, disco dopo disco, riescono a conquistare oggi nell’indipendente. Purtroppo però è un dato di fatto che i grandi network nazionali, a parte rari casi, siano restii a promuovere artisti indipendenti, ai quali resta un pubblico di appassionati navigatori web e addetti ai lavori, che per quanto vasto possa essere, non raggiunge mai grandi numeri. Le dinamiche alla base dei criteri di scelta degli artisti da parte dei grossi network sono sicuramente economiche, ma non riesco davvero a spiegarmi perché si sia arrivati a questa scissione così netta tra indipendente e mainstream, perché credo che se solo si proponessero cose nuove al pubblico medio, queste potrebbero tranquillamente essere apprezzate e piacere, rappresenterebbero anch’esse un ritorno economico, e sarebbero tutti contenti, anche gli speculatori più freddi.

Quello che si nota subito ascoltando il tuo album è l'attenzione che metti ai testi, sia nella sostanza che nella forma (penso ai giochi di parole). Come ci lavori? Sei di quelli che “mi vengono di getto” oppure sei lì a costruire e poi limare di cesello?

Sicuramente la seconda. Per scrivere un testo ci metto del tempo, anche mesi, mi piace lavorarci con calma e non considero chiusa la canzone finché ogni parola non si adegua al mio ideale di perfezione del momento. Mi piace incastrare le parole nella metrica, mi piacciono le rime e i giochi di parole, e sono sempre alla ricerca di significati, di storie da raccontare. La parte della scrittura del testo é quella che forse piú adoro di tutto il lavoro che sta intorno alle canzoni. Mi perdo completamente nella stesura fino a riemergere nel mondo con una nuova canzone e qualcosa in piú da fare ascoltare.

Nel comunicato leggiamo che l'incontro con Amerigo Verardi è stata una svolta. Ci racconti il vostro incontro e il momento in cui è avvenuta quella svolta?

Ho contattato Amerigo Verardi quando ancora non avevo le idee chiare sul disco che avrei fatto, gli feci ascoltare delle canzoni, e la maggior parte di queste non sono poi confluite nel disco. Ci incontrammo in un bar al porto di Brindisi ed ascoltó pazientemente tutti i miei vaneggiamenti su quello che sarebbe dovuto essere il disco.

Lo stile di Amerigo è unico, lui ti guida assecondandoti e lasciandoti libero di essere quello che sei. Mi disse che avrei dovuto continuare a scrivere, probabilmente aveva capito che ero in un momento creativo particolarmente fertile, e infatti le canzoni che oggi sono nell’album sono state scritte a ridosso di quel periodo.

Iniziammo però a collaborare da subito e abbiamo inciso due pezzi. Questa prova é stata per me molto importante, perché ha significato che le canzoni potevano prendere finalmente la forma che da tempo desideravo. Ma sentivo l’esigenza di lavorare ai pezzi in maniera piú corale e soprattutto di avere il sostegno di musicisti con cui suonare dal vivo le canzoni una volta arrangiate. Ho messo su una band, abbiamo arrangiato i brani, ed Amerigo ci ha seguiti in una seconda fase. Anche qui é stato molto importante, a partire dai consigli in sala prove, fino ai giorni di registrazione al Sud Est Studio di Stefano Manca. Qui per due settimane ci siamo concessi la pace della campagna salentina e nell’armonia piú totale é nato il mio primo disco.

Amerigo Verardi è una di quelle figure pure, che incontrare é soltanto una fortuna, devo a lui, oltre che alcuni aspetti artistici del disco, anche tante preziose parole e punti di vista che in questi anni ho utilizzato per affrontare le sfide che la realizzazione di questo lavoro ha comportato.

Cosa ti aspetti nei prossimi mesi?

Dopo più di un anno intenso di lavoro, ho raggiunto tutto quello che mi serviva per partire al meglio. Ho un’etichetta che mi segue, un ufficio stampa e un booking. Ho lavorato talmente tanto per avere tutto ció che adesso non voglio pensare a niente. Mi aspettano dei concerti in giro per l’Italia e questo sará divertente.

Il resto è davvero una grande incognita.

Cosa non faresti mai, artisticamente parlando, per la “fama”?

Beh questa è facile. Non vorrei mai essere il sosia di qualcun altro, come canto in “Io Sarò famoso”.

Se dovessi fare tre nomi che hanno segnato la tua carriera? E tre album?

Difficile invece questa domanda, perché tre nomi son veramente pochi, ma ci provo: Bob Dylan, The Freewheelin', Francesco De Gregori, album omonimo (il disco della pecora ), Lucio Dalla, Come è profondo il mare

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