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Non è il Festival di Sanremo il problema della musica in Italia

Sanremo chiude all’insegna di… Sanremo. Doveva essere un’edizione “umile e semplice” e così è stata, portata avanti con successo da Carlo Conti. Le critiche musicali, che da sempre lo accompagnano, hanno poca ragione di esistere. Sanremo, infatti, è uno show tv e la musica ne è solo una parte. Non fondamentale.
A cura di Francesco Raiola
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Tirando le somme, siamo arrivati alla fine di questo 65° Festival di Sanremo. Un'edizione che ha visto una vittoria nei numeri, con più di 10 milioni di telespettatori in media davanti al piccolo schermo e la solita coda di tweet e feedback social che, ironici o meno, fanno comunque gioco allo spettacolo che Carlo Conti ha messo su molto attentamente. Un'edizione umile e semplice, come ha detto ieri il presentatore, che ha voluto fortemente un festival popolare che non significa – e l'auditel l'ha confermato – in tono minore. Sicuramente Conti non ha voluto rischiare tanto, come si è visto sia dai partecipanti che dagli ospiti: perché chi porta sul palco gente come Tiziano Ferro, Biagio Antonacci e Gianna Nannini, tra i musicisti, o Siani, Pintus e Panariello, tra i comici sa perfettamente quello che vuole e poco contano l'innesto di gruppi come Saint Motel o del dj francese The Avener. I Big sono stati assortiti bene, ma sempre su un target molto mainstream, senza particolari aperture ad altri mondi musicali, come avvenuto negli anni scorsi: molto talent, forse anche troppo (Fragola?), con qualche cedimento di cui si aspetta ancora una motivazione plausibile (Atzei? Lara Fabian?), e qualche vecchia gloria che alla fine s'è ritrovata anche cacciata via prima della finale: bussare Raf. Anche nei testi c'era un'omogeneità talvolta asfissiante con pochi ad allontanarsi dal binomio cuore amore e pochi slanci, tipo quello di Grazia Di Michele e Mauro Coruzzi. A dare un po' di brio al tutto sono state soprattutto le gaffe di cui si sono resi protagonisti lo stesso Conti – come avvenuto nell'errore al televoto – o la Nannini, che ha sbagliato uno dei suoi cavalli di battaglia. Tra le vallette, Emma e Rocio impalpabili con Arisa che, in alcuni – pochi – momenti ha dato dimostrazione di poterlo fare. La vittoria, alla fine, è andata a un gruppo di ragazzini che fa lirica: Il Volo, d'altra parte, era la band favorita sin dal principio. Chissà se questa vittoria li porterà dove è arrivato Bocelli o non cambierà uno status che li vede già molto noti all'estero. Quello che ci domandiamo, un po' come abbiamo fatto dopo la vittoria di Suor Cristina a The Voice, è quanto la musica italiana sentisse il bisogno di questa vittoria. Lo scopriremo fra qualche mese, e speriamo per questi tre ragazzi che la fine non sia la stessa.

Se c'è una critica, però, ingiusta nei confronti del Festival è quello di credere che sia la ragione della morte della musica in Italia (una morte, sia chiaro, non commerciale, in base a quello che dicono i numeri dello scorso anno che vedono il comparto crescere ancora, rispetto all'anno precedente). Sanremo, infatti, di musicale, ormai, ha solo il nome e una parte dello show, ma è a tutti gli effetti un varietà televisivo. Imputargli influenze sul mercato musicale non è giusto. La manifestazione, infatti, non fa vendere, non sposta più copie come faceva una volta. Lo scorso anno, ad esempio, solo Renga tra i Big e Rocco Hunt tra i giovani sono stati certificati Oro. Nessun Platino. Insomma, è uno show che incide poco sulle vendite e, quindi, solo in parte sulla visibilità. Così, per dire, la canzone sanremese più trasmessa in radio lo scorso anno è stata quella dei Perturbazione, ma di loro ovviamente – e purtroppo – non si ricorderà nessuno (parlo di pubblico "mainstream", ovviamente).

Sanremo, insomma, non è un programma musicale, non lo è da tempo. È uno show televisivo di quelli che ogni tanto vanno in onda il sabato e come tale va vissuto, con tutta la coda Twitter che ne consegue. Influenzano molto più i talent e i soliti grandi artisti, ad esempio, e basta guardare i dati di vendita del 2014 che dicono: Vasco, Pink Floyd (sic), Tiziano Ferro, Ligabue e Modà. Può sembrare paradossale, ma praticamente contano più le radio. Se si guardano le fasce d'età che si sintonizzavano ogni sera su Rai Uno poi, si nota che quella più numerosa è quella degli over 65, seguita da 55-64 e 45-54 (dati relativi alla prima serata).

Doveva essere "umile e semplice", ed è stata un'edizione umile e semplice, grazie alla voglia di normalità e alla poca voglia di prendersi rischi di Carlo Conti e dei suoi autori. Speriamo che questo sia solo una grande prova generale della prossima edizione e che questa partirà dall'unica autocritica fatta da Conti, ovvero la mancanza di musica indie. Non tanto per la musica indie in sé, quanto per un concetto di diversità che porta all'interno di un format che, musicalmente, tende a non cambiare quasi mai.

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