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Marta sui tubi: guardarsi alle spalle

Muovendosi fra il circuito alternativo e quello cosiddetto ufficiale, i Marta sui Tubi hanno tagliato il traguardo dei dodici anni di carriera. Da un paio di settimane c‘è un CD che li racconta, ma non scavando solo nel passato.
A cura di Federico Guglielmi
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Marta sui tubi
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Capita di leggere da più parti che “Salva gente”, il “best of” dei Marta sui tubi pubblicato il 17 giugno scorso dalla Antenna Music Factory/Universal, vorrebbe essere una sorta di celebrazione del decennale di attività della band. Una piccola forzatura, giacché il cantante Giovanni Gulino e il chitarrista Carmelo Pipitone hanno avviato il loro progetto nell‘estate del 2002 e hanno realizzato il primo album nel 2003. Leggendo la biografia del gruppo senza far caso alle date, però, sarebbe normale pensare a una carriera ben più estesa: tra assestamenti, traslochi, dischi, tour, incontri, collaborazioni, iniziative ed esperienze di ogni genere, i cinque – alla coppia di fondatori si sono aggiunti nel 2004 il batterista Ivan Paolini e nel 2008 il tastierista Paolo Pischedda e il violoncellista/bassista Mattia Boschi – hanno vissuto la loro storia con grande intensità, correndo come centometristi ma dosando le energie come maratoneti. E non sbagliando mai strada.

“Salva gente” contiene addirittura diciannove tracce, e il numero elevato fa già comprendere come per i musicisti non debba essere stato facilissimo identificare i momenti più rilevanti del loro percorso. Due i brani totalmente nuovi: la title track, che ospita Franco Battiato, e “A modo mio”. Entrambi, e sarebbe stato strano il contrario, sono valide introduzioni al mondo dei Marta sui tubi, dove echi folk e slanci pop si incontrano in un sound ibrido e imprevedibile – ricco di scarti e non privo di deviazioni spigolose – cui si legano testi non banali interpretati in modo poco lineare e parecchio teatrale. Una formula tutt‘altro che classica e, anzi, riconoscibile nonostante l'eclettismo, che sulla carta si direbbe adatta solo a platee più o meno di nicchia e che, invece, è approdata persino alla vetrina nazionalpopolare del Festival di Sanremo; è accaduto l‘anno scorso e i pezzi presentati – il vivacissimo, frenetico “Dispari”, purtroppo subito escluso, e il più melodico “Vorrei” – sono ovviamente in scaletta. Non contando l‘avvolgente, intensa “Cromatica” in duetto con Lucio Dalla, inclusa nell'edizione speciale (immessa sul mercato nel 2012) del quarto album “Carne con gli occhi”, l'antologia include versioni rivedute e corrette di due episodi dell‘esordio “Muscoli e dei” (“Il giorno del mio compleanno”, impreziosita dai fiati della Bandakadabra, e “Vecchi difetti”), di uno dal successivo “C'è gente che deve dormire” del 2005 (la morbida, evocativa “L‘abbandono”) e di uno dall‘ultimo “Cinque, la luna e le spine” (si tratta de “La ladra”, con Malika Ayane alla seconda voce). Il resto pesca un po' qua e un po' là nel repertorio, spaziando dalle trame ruvide e aggressive di “Stitichezza cronica” (2003) e “L'unica cosa” (2008) a quelle più soft di “Perché non pesi niente?” e “Cenere” (ambedue 2005). Visto che i minuti non sarebbero mancati, poteva essere l‘occasione giusta per il recupero delle canzoni apparse solo in raccolte di artisti vari (”Mercoledì” da “Il paese è reale”, ad esempio, o la cover di “Pigro” di Ivan Graziani), ma i Nostri non l'hanno evidentemente voluta cogliere. Magari lo faranno in futuro, per un'altra ricorrenza.

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”Salva gente”, sulla quale curiosamente non compare il logo dell'etichetta personale della band (Tamburi Usati: il nome è un anagramma, e non è difficile capire di cosa) è dunque un efficace compendio dei dodici anni di vita della band di Marsala, divenuta in tempi più recenti milanese dopo avere operato lungamente a Bologna. Una band, va forse rimarcato, stilisticamente inusuale, e proprio per questo meritevole di un rispetto e un'attenzione superiori a quelli concessi a quanti si limitano ad adagiarsi su consolidati cliché. E chissà cos'altro combinerà da qui a quando – nel 2022: non si sbagli ancora – ci sarà da festeggiare il ventennale.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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