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La Calabria del rap che combatte il suo “complesso d’inferiorità atavico”

Milano? Roma? Non solo visto che anche è la Calabria uno degli snodi del rap italiano contemporaneo. Kiave, Kento, Loop Loona solo alcuni dei nomi che con i loro versi danno voce alle minoranze attraverso un impegno civile e musicale, riscattando quel “complesso d’inferiorità atavico” di pasoliniana memoria.
A cura di Stefano Cuzzocrea
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Il rap è migrazione. Già dal principio lo è stato. A New York chi ha aperto i battenti di tutta la faccenda era arrivato lì dall’Africa. Senza contare che il tutto ha ricevuto grandi e basilari influenze dal sound e dallo spirito giamaicano. E poi, anche a prescindere dai trasbordi nello spazio, l’hip hop non sa stare fermo neppure musicalmente fin dai tempi di Bambaataa (ne abbiamo già parlato ne “I talebani dell’hip hop”). Qui però si è impegnati ad analizzare le derive italiane del fenomeno (si è iniziato con la Sindrome delle periferia romana). Seguendo una logica lineare, ci si dovrebbe concentrare in quello che è oggi l’epicentro nostrano ed economico del rap tricolore, quella Milano che invece al momento non ci beviamo. Uno perché c’è una domanda retorica che fa al caso nostro: ce ne sono ancora milanesi?, due perché se si parla di emigrazione bisogna rintracciare prima il punto di partenza e poi quello di arrivo, o no?

Dunque, scendiamo giù, fino alla punta di questo scarpone. Lì, in quella Calabria che per molti è Nord-Africa e per altri, più che una stigmatizzazione natale, una radice dalla quale crescere e germogliare. Strano che là la saga dell’hip hop sia iniziata, emblematicamente, proprio dal connubio tra Africa e Italia. Il capostipite, o forse è meglio definirlo il profeta, è indubbiamente stato Lugi. Padre cosentino e madre etiope. Un’infanzia mai vissuta completamente, magari, gli fa – ancora oggi, ben oltre i 40 anni di età – considerare il party come momento di evasione, riunione, comunione, divertimento quanto riflessione, un po’ come era nella New York di fine anni 70. Spirito originario insomma. Durante l’adolescenza, insieme alla South Posse e, successivamente, da solo, amplifica e tramanda dischi, cultura, jam, djset, feste e concerti, istruendo e ammaliando più di una generazione di b-boy. Con il brano “Semplicemente immigrato” sintetizza un concetto di migrazione universale che qui si cerca di trattare. Con il suo trasferimento, per motivi di lavoro, a Bologna, continua il viaggio attinente al filo conduttore di questa trattazione. Con la paternità, in più, si distacca un minimo dal suo ruolo di formatore in ambito hip hop e lascia che i suoi discepoli volino via.

Ed eccoli. Ce ne sono una marea, sparsi per le regioni di questa Penisola ed anche oltre, armati di giradischi e microfoni, a continuare e perpetuare il flusso. L’idea di partire dalla Calabria è doverosa, non solo per via della tradizione migratoria dei suoi nativi, ma perché, nelle ultime settimane, tre avvenimenti discografici differenti lasciano intravedere un percorso comune ma fuori dal comune al tempo stesso. Esce un nuovo videoclip di Kento ("Quando sei distratta"), rapper impegnato, nel senso più certo del termine, a risalire al blues come radice, assieme ai suoi Vooodoo Brothers, una band vera e propria. Ebbene, proprio lui, lo scorso autunno, è stato in Palestina per dare voce ad un progetto nel quale suona assieme a m.c. provenienti da vari angoli della Terra, per un album multilinguistico nato in quella sede. Una settimana dopo, Loop Luna rilascia anche lei un video, che fa discutere e spopola sui media web e cartacei, incentrato sulla questione mafiosa, nel quale la Calabria sembra un sobborgo di Los Angeles e la ‘ndrangheta è trattata con distanza, sebbene si ipotizzi che, alla fine, nessuno ne sia immune totalmente. E, sempre lo scorso mese, Kiave, il più altisonante tra questi tre rapper, dà alle stampe un disco registrato nella casa circondariale di Monza, nel quale, al termine di un progetto culturale all’interno del carcere, gestito da lui come docente, fa rappare giovani detenuti, in diverse lingue, offrendogli una via d’uscita dalle sbarre, o almeno dalla quotidianità, e semmai anche verso un altro futuro possibile.

Tre rapper, Kento, Luna e Kiave, che sono anche tre calabresi emigrati tra Roma e Milano. Tre spiriti differentissimi ma originali che tentano di dar voce alle minoranze attraverso un impegno civile ed anche musicale. Loro, magari stigmatizzati quanto e per la loro provenienza, si schierano dalla parte degli sventurati. Alzano il volume delle differenze. “Forse non si tiene conto del complesso d’inferiorità atavico di voi calabresi”, scriveva Pasolini nel '59, e magari ha ragione, ma se quel sentimento genera una comunione con chi ha ancora meno voce di quel popolo e addirittura una mano tesa verso la redenzione dei più deboli, allora quei “ragazzi di vita” operano per lo stesso fine di quel Pier Paolo che li amava tantissimo, senza saperlo, prima che nascessero.

L’altro giorno, pensando a quest’articolo da scrivere, ho avuto una sorta di nostalgia da emigrato che mi ha fatto pensare a come certe volte mi manca la Calabria, mi manca l'entusiasmo diffuso per le piccole cose, mi manca il considerare l'inimicizia una parte indissolubile dell'amicizia, mi manca la consapevolezza, il più delle volte sterile, di non essere apposto, più che con se stessi, con gli altri e con la civiltà. Ebbene i rapper che da lì sono partiti superano queste peculiarità e si lavano dei “peccati originari”. Poi prendono quell’acqua santificata e innaffiano un giardino di minoranze, perché sanno cosa vuol dire essere gli ultimi. Magari non avrò tempo per godermi il giardino che verrà fuori da tanto impegno, ma ho speranza di comprendere che sarà quantomeno diverso.

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