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La bellezza di John Grant contro la paura e i metal detector

‘Non bisogna lasciarsi vincere dalla paura’ è una delle rasi più sentite di questi giorni, eppure ieri, prima del concerto di John Grant, io un po’ di timore (stupido) l’ho avuto. Resoconto di una giornata di musica e allrmi contrastanti.
A cura di Francesco Raiola
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Avete presente quelle persone a cui appena viene detto da una persona che ha una malattia cominciano a pensare ai piccoli mali che hanno e se anche loro possono esserne colpiti? Mi sono sentito così ieri. Ma la malattia era un concerto, e il sintomo la paura. Perché statisticamente, preoccuparsi per un concerto, anche dopo una tragedia come quella del Bataclan, è stupido o, almeno, lo sarebbe. E così dall'entusiasmo per assistere al concerto di un cantante che ti ha accompagnato molto in questi ultimi anni e con cui, da buon fan, ti eri anche riuscito a fare una foto durante il suo concerto a Vasto, sono passato a una sorta di ‘non tranquillità' strisciante. Niente di grave, sia chiaro, soprattutto perché durante questa non tranquillità leggevo la testimonianza, su Libération, di Louise, una ragazza sfuggita al massacro per 2 millimetri, quelli per cui una pallottola non l'ha uccisa o quella di Hughes, cantante degli Eagles of Death Metal che non raccontava solo una paura lontana, ma in prima persona descriveva la carneficina di Parigi.

‘Non bisogna lasciarsi vincere dalla paura'

E tutte le parole sul ‘non bisogna lasciarsi vincere dalla paura'? Non lo so. Mentre ridevo di un timore che non poteva e non doveva essere, però, assistevo alla cancellazione della serata all'Alcatraz – che avrebbe dovuto vedere protagoniste due band, i Papa Roach e i Five Finger Death Punch – e a quello che poi è stata la dinamica di botta e risposta con l'agenzia che aveva organizzato la data. Le band hanno cancellato il concerto a causa di alcune voci girate nelle ore precedenti che volevano Milano vittima di un attentato; voci smentite da Anonymous, che era anche la fonte principale dell'IBT, prima a dare questa notizia. Insomma, un circolo vizioso di notizie presunte, verosimili, smentite da cui non si sfugge e che non aiutano quella Paris en terrace che rappresenta il ritorno a una vita normale, senza paure.

Comunque è incredibile come alla fine uno dica che è tutto ok, però uno ci pensa al fatto che stasera starà in un posto chiuso a sentire musica e, insomma… c'è una non tranquillità strisciante.

Un messaggio stupido mandato al direttore, che fa il paio con i richiami scherzosi ma non troppo degli amici che ti dicono di ‘fare attenzione' e quella leggerezza (stupidità?) che ti fa rispondere che terrai d'occhio le uscite di sicurezza.

I controlli coi metal detector

John Grant avrebbe dovuto suonare a Parigi il 15 novembre, giorno dopo l'attentato, alla Cigale, altra sala concerti molto nota nella capitale francese, per un festival organizzato dalla rivista Les Inrockuptibles e, ovviamente, cancellato. Ieri sera al Fabrique, come ormai consuetudine, facevano bella mostra di sé i metal detector, aggiunti ai controlli di routine. Appena entrato mi fermo tra la biglietteria e l'ingresso e là incontro Pietro, capo di DNA Concerti e organizzatore della serata e ci sorprendiamo a guardare entrambi la porta d'ingresso: ‘Sono sceso a guardare i controlli al metal detector" mi dice un po' sconsolato pochi minuti prima che legga sul cellulare di una Bruxelles blindata per un blitz. È Bruxelles, mi dico, senza convincermi.

Il concerto di John Grant

John Grant è musicista che ha messo in musica e testi la propria vita, la difficoltà di essere omosessuale in un mondo che non lo accettava, i suoi problemi con l'alcol e con la droga, la scoperta della sieropositività. Dotato di una enorme sensibilità, oltre che classe da vendere, il cantautore ha attraversato una fase che lo ha portato a sonorità più elettroniche, cominciate già nel suo primo album ‘Queen of Denmark', diventato più marcato in Pale Ghost' e completo in ‘Grey Tickles, Black Pressure', nel quale si riprende un po' di ottimismo. Dopo gli islandesi Fufanu e una mezzora di cambio palco, arriva il cantautore statunitense che si si siede al piano e parte con il singolo omonimo dell'ultimo album. Bastano pochi secondi e la sua voce calda e baritonale per scaldare l'ambiente e rilassarlo. Poche frasi in italiano, quelle per ringraziare il pubblico, band presentata quasi subito e un concerto che per l'inizio formato dai pezzi dell'ultimo disco (‘Down Here' e ‘Geraldine'), prima del ritorno al piano per ‘It Doesn't Matter to Him' e una ‘Pale Green Ghosts' che anticipa il balletto di ‘Snug Slacks'. Grant si diverte, interagisce col pubblico e balla, di un ballo divertito e divertente, dando anche le spalle al pubblico prima di ‘You and Him' e ‘Guess How I Know'. Qua è come se si chiudesse una prima parte ideale e a fare da spartitraffico è il piano di ‘Glacier', brano che chiudeva l'album precedente e cantata assieme a Sinead O'Connor e che dà il la a due delle sue canzoni più amate: una tiratissima ‘Queen of Denmark' che riesce a silenziare il pubblico del Fabrique, seguita da ‘Marz', prima di tornare super elettronici con ‘GMF' e ‘Disappointing' (‘Rachmaninov, Scriabin, Prokofiev, Dostoevsky, Bulgakov, Vysotsky and Lev'). È qua che comincia il bis: si parte con Voodoo Dolls, prima di un'acclamata ‘Where Dreams Go to Die', il ritorno ai Czars con ‘Drugs', dedicata a Chiara (sic) e ‘Caramel' con cui saluta il pubblico.

Le armi di Grant: la musica, il sorriso, l'ironia e una voce che ti incanta. E per il momento noi ci facciamo bastare quelle, contro paure indotte e i metal detector.

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