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I Vick Frida presentano ‘Thisastro’: “La musica ci porta dove finiscono le domande”

Secondo album per la band, che vanta collaborazioni importanti come quelle con Venuti, Giovanardi e Baglioni. Abbiamo intervistato i Vick Frida tentando di capire meglio un disco considerato dal gruppo stesso come un momento “rigenerativo”.
A cura di Andrea Parrella
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E' citando George Steiner che i Vick Frida delinano i limiti tematici nei quali si muove il secondo album della band, dal titolo THISASTRO, offrendo uno sguardo molteplice sull'interpretazione di un titolo a più facce: "Gli avvenimenti di Babele sono forse un disastro ma al tempo stesso – ed è questa l'etimologia della parola “disastro” – una pioggia di stelle sull'umanità". Abbiamo intervistato il gruppo, composto da Enrico Fidleveski alla voce, Marco Gherardi alle chitarre, Fabio Salvi alle tastiere, Andrea Ciacchini al basso e Luca Guidi alla batteria, per capire qualcosa di più rispetto ad un lavoro che affonda le mani nell'elettronica senza la paura di sporcarsele con altro che possa contaminarle.

THISASTRO è il vostro secondo lavoro discografico, un titolo dalle molteplici chiavi di lettura, che tuttavia dichiarate di voler assorbire e vivere nella più ottimistica delle interpretazioni, ovvero un'occasione rigeneratrice. Cosa ha significato, dal punto di vista strettamente musicale e sonoro, questa rigenerazione?

È un disco meditato, riflettuto, scritto di testa, come si suol dire. Testa e cuore, nei momenti di cambiamento radicale come quello che il mondo attraversa, la pancia va tenuta buona a nostro avviso. La filosofia serve, aiuta, traccia, ispira modelli di comportamento, ha una ricaduta diretta sulla quotidianità, niente di lontano dalla concretezza di ogni giorno. Abbiamo personalità riflessive, dubitanti, cogitabonde, cerchiamo di codificare questi tratti e trasporli in musica. Ci piace pensare bene a cosa dire e come dirlo. Oggi la logica del consenso immediato semina molto già sentito e molto gridato in cerca di clamore. C’è una scena “indipendente” che troppo deve a cantautori del passato ed altrove nicchie di “incazzati" fanno leva su frustrazioni ed istinti che servono lo sfogo momentaneo ma nessuna evoluzione. Cerchiamo di rivolgerci altrove. Quello che viviamo è un periodo pieno di vuoti, perdonami il facile gioco di parole, vuoti riempiti malamente, frettolosamente con contenuti altamente degradabili e spesso degradanti.  Fosse un principio attivo, questo disco sarebbe quello di una droga lenta. Non è stato scritto in poco tempo e se lo si apprezza non lo si apprezza in poco tempo, né distrattamente. Ci abbiamo messo dentro molte cose, alcune evidenti, veri tributi, altre nascoste. Abbiamo cercato di far convivere pacificamente l'elettronica  con materiale sonoro altro, proveniente dal folk al rock alla dance più truzza, come ci è capitato spesso di aggettivare la scelta dei suoni. Non ha l'ambizione di essere niente di sperimentale né classico, non è eccentrico ma ambisce ad avere una personalità trasversale ed autentica. Quindi in qualche misura di nuova generazione. Credo possa somigliare ad un uomo contemporaneo, forse gli somiglia più di quanto non sia in grado di raccontarlo.

I vostri lavori precedenti avevano una vocazione elettronica dichiarata. Questo disco invece, pare contemplare la possibilità di battere anche altre strade e, pur non smarrendo mai la tendenza elettronica, alcuni pezzi si avvicinano ad armonie e sonorità più morbide, quasi pop (forse in senso sacrilego). È solo un'impressione, oppure un cambiamento in questa direzione c'è stato? E se sì, è stato volontario?

Per noi c’è poco di sacro quindi poco di sacrilego in generale, forse non sembra ma abbiamo capito che facciamo musica di confine o borderline potremmo dire. Sconfiniamo, cadiamo oltre e al di qua, forse scadiamo anche, ci avventuriamo dentro, senza gran cognizione di causa ne preoccupazione, ci lasciamo influenzare. Quando ci piace, quando riscontriamo un equilibrio e ravvisiamo qualcosa che non quadra del tutto, a noi per primi, va bene così, ci siamo. Talvolta sono inconsapevoli copie malamente riuscite, altre ottimi prototipi di "Altro". Quindi, si, in qualche modo la deriva è cercata, poi, a posteriori vediamo che cosa abbiamo combinato. Magari il prossimo disco sarà registrato in presa diretta, alla prima dopo averci riflettuto poco o tutta la vita, dipende dai punti di vista. Questo è stato realizzato un po' come si fanno le sedute spiritiche durante l'occupazione alle superiori, più forze agiscono sul puntatore e vediamo che messaggio arriva.

Ospiti del disco sono Mario Venuti, Giovanni Baglioni e Mauro Ermanno Giovanardi. La curiosità del pubblico, in questi casi, è sempre indirizzata alla comprensione di quale sia il collegamento, il motivo di incontro. A parte Baglioni, che ha già collaborato con voi in passato, cosa vi lega particolarmente a Venuti e Giovanardi?

Consideriamo Mario Venuti un distinto signore della musica italiana, ci piace da sempre il suo stile, la sua attitudine melodica e la sua intelligente ironia. Giovanni Baglioni è un caro amico, ci vogliamo bene ma questo sentimento poco ha inciso sul suo contributo. Lo ritentiamo un ottimo compositore e chitarrista. Abbiamo già collaborato in passato e pur non avendo pianificato una sua partecipazione al disco, il fato, o volontà inconsce, l'hanno portato in studio durante gli ultimi giorni di registrazione. Ci è venuta un’idea per la parte introduttiva di “Andata e Ritorno” e supportati dall’ottima spinta di Fabrizio Federighi, produttore artistico del disco, a cogliere suggerimenti ed apportare modifiche, anche in fase di produzione avanzata, in breve ha preso forma questo gradito cameo. Per quanto riguarda Mauro Ermanno Giovanardi, conosciamo bene i La Crus ed abbiamo seguito il suo percorso solista apprezzandolo. La sua cifra vocale mi piace molto. Ci siamo conosciuti in Toscana al S.A.M. studio di Mirco Mencacci durante la registrazione del suo “Maledetto colui che è solo” col sinfonico Honolulu.
“Precipitato insoluto” arriva da territori che gli sono noti, abbiamo pensato di tentare l'esperimento. È andata bene. Nessuna delle partecipazioni era stata precedentemente programmata, si sono concretizzate in corso d’opera.

La traccia di apertura "Anche i filosofi", cantata proprio insieme a Venuti, sembra essere motivo ricorrente del vostro periodo recente. Il testo valorizza la musica come elemento in grado di prescindere, o meglio sopravvivere alle altre forme di comunicazione. Semplicisticamente, come se, nella narrazione immediata delle cose, non vi sia strumento più efficace.

“Anche i filosofi” si riferisce ciò che mi sembra di poter leggere tra le righe di dichiarazioni tipo: "Senza musica la vita sarebbe un errore". Nietzsche, Il crepuscolo degli idoli, 1888. O ”La vita dell'uomo colto dovrebbe alternarsi fra musica e non musica, come fra sonno e veglia”. Novalis, Frammenti, 1795/1800. O Ancora “Vi è nella battuta musicale un potere magico, a cui possiamo tanto poco sottrarci che spesso, nell'ascoltar musica, battiamo inconsapevolmente il tempo”. Hegel, Lezioni di estetica, 1823-1826. Mi pare che sul fondo di queste parole sia ravvisabile una sorta di resa. Come a dire: ”possiamo lambiccarci la mente cercando orizzonti assoluti, il senso ultimo dell’esistenza, sperare di tracciare quel pensiero, fondare quella religione che universalmente faccia sentire gli uomini collegati gli uni agli altri (come ovviamente siamo, anche se  lo dimentichiamo) ; Ma la musica lo dice meglio, più chiaramente”. I suoi effetti lo testimoniano. Quando si ascolta spesso si è “rapiti”. Rapiti e portati dove? Io credo dove finiscono le domande. Il testo di questa canzone è ispirato ad “Io e Dio”, libro del teologo Vito Mancuso che abbiamo avuto il piacere di incontrare in seguito alla pubblicazione del singolo.

A questo punto è lecito chiedersi cosa vi aspetti nel prossimo futuro. State già lavorando ad altro materiale, oppure vi dedicherete ad un tour? Negli anni scorsi avete riscosso un ragguardevole successo all'estero, quali sono i criteri secondo cui credete THISASTRO possa avere grande eco anche in Italia?

Non abbiamo idee chiare al momento. Se avremo qualcosa da dire urgentemente probabilmente continueremo a fare musica osservando e cercando forse di snellire il processo produttivo e distributivo in favore di quello creativo, eliminando qualche passaggio dettato più da strutture mentali ed insicurezze che da reali necessità. Studieremo e sperimenteremo altri approcci alla scrittura ed alla registrazione così come altre strade per render disponibile ciò che realizzeremo. Questo disco efficacemente intercetta, se così si può dire, chi ha una fervente vita interiore. Alcune canzoni hanno più livelli e chiavi di lettura, altre sono come discorsi già avviati, presuppongono quindi domande o percorsi mentali più o meno familiari a chi ascolta. Non abbiamo idea dell’eco possibile. Ci impegniamo a cercare di provocare qualcosa, suggerire un punto di vista non consueto o un buon sentimento. Sono esperimenti di cui difficilmente riusciamo ad immaginare l’esito.
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