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I tre decenni di “Alghero” e gli anni ’80 di Giuni Russo

Ci sono storie che periodicamente è il caso di ricordare, e quella di Giuni Russo appartiene alla categoria. Ce ne offre lo spunto il trentennale di uno dei suoi brani più famosi.
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A cura di Federico Guglielmi
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Giuni Russo (LaPresse)
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La Torre di Babele

Nella calda estate del 1986, e purtroppo non solo in quella, accendendo la radio era molto probabile essere investiti da canzoni atroci. Funzionava così, non c’era nulla da fare, e non perché non esistesse nulla di bello; il guaio era che il pubblico “generico” – quello che “sente” la musica invece di “ascoltarla”: non una differenza da poco – sembrava amare soprattutto il trash, e il delinquenziale trust costituito da industria discografica e mass-media era felicissima di accontentarlo. “Cosa resterà degli anni ‘80”, si domandava Raf nel 1989, e ora che un po’ di tempo è trascorso possiamo dire, sollevati, che molti dei successi commerciali di quei giorni sono stati rimossi dalla memoria. Ad esempio, “Run To Me” della meteora Tracy Spencer (una delle tante lanciate da Claudio Cecchetto) che appunto nel 1986 vinse il Festivalbar e fu il secondo singolo più venduto in Italia nell’anno dopo “Papa Don’t Preach” di Madonna. Fra i primi cento di questa classifica, e nelle graduatorie settimanali, non c’è però traccia di un altro 45 giri che pure aveva partecipato alla popolare rassegna, divenendo più o meno un tormentone: un pezzo orecchiabilissimo, dal testo leggero ma divertente, caratterizzato dagli immancabili ritmi sintetici e pervaso da aromi rétro, interpretato da una (quasi) trentacinquenne palermitana il cui look androgino presentava affinità con quello di Annie Lennox degli Eurythmics. Lei si chiamava Giuseppa Romeo, in arte Giuni Russo, e il titolo del pezzo era “Alghero”.

Anche se non fu una hit nel senso convenzionale del termine, “Alghero” non è stata affatto dimenticata, e lo scorso anno ha pure goduto di un nuovo momento di gloria quando Grazia Di Michele e Maurizio “Platinette” Coruzzi l’hanno proposta nella serata delle cover di Sanremo. La storia del testo è legata a un episodio dello splendido rapporto con Maria Antonietta Sisini, sarda della provincia di Sassari che di Giuni fu alter ego nel songwriting (molte le musiche ideate per le sue parole) nonché compagna di vita, e i consensi raccolti dal pezzo ebbero il gusto di una rivincita liberatoria nei confronti della CGD e di Caterina Caselli, che al tempo ne era a capo. Dopo una lunga gavetta, avviata già nella seconda metà dei ’60 e contraddistinta da un moto ondivago alla ricerca di una direzione, nel 1981 Giuni Russo si era infatti accasata presso l’etichetta milanese, forte del sostegno di Franco Battiato (era l’epoca de “La voce del padrone”, non so se mi sono spiegato), ma la relazione era diventata ben presto conflittuale: la label voleva sfruttare l’inconsueto carisma di Giuni e la sua formidabile voce spingendola verso il pop di consumo e i suoi discutibili riti promozionali, mentre lei ambiva a qualcosa di più alto se non addirittura di sperimentale; il distacco, traumatico, maturò nel 1985, e la boicottata artista riuscì a trovare asilo solo presso la minuscola Bubble Records, che marchiò “Alghero” e il relativo LP “Giuni”, la cui gestazione era stata interrotta dal contenzioso aperto con la CGD (dal sodalizio sarebbe derivato un altro 33 giri, “Album”, nel 1987). Davvero una bizzarra querelle, quella consumatasi nella prima metà degli ‘80, che comunque non ostacolò la diffusione di tre opere rilevanti e ricche di ottimi spunti quali “Energie” del 1981 (composto e curato in larghissima parte da Battiato e Giusto Pio), “Vox” del 1983 (sempre “benedetto”, ma più da lontano, da Battiato, e arrangiato da Roberto Cacciapaglia) e “Mediterranea” del 1984, firmato quasi interamente dalla coppia Russo/Sisini. Tra i primi due venne approntato il fortunatissimo singolo “Un’estate al mare”, scritto da Battiato-Pio e trionfatore al Festivalbar del 1982.

Impossibile, negli anni ’80 di Giuni Russo, non rilevare un’ambiguità di fondo, di sicuro figlia delle pressioni subite ma probabilmente determinata anche dall’incertezza sulla via da imboccare. Il problema si sarebbe risolto con l’impegnato “A casa di Ida Rubinstein” del 1988, ancora con Battiato come eminenza grigia, ma come i tre predecessori i due dischi per la Bubble, benché concepiti in un clima più sereno, sono in mezzo al guado fra il desiderio di soluzioni più ricercate e le solite strizzate d’occhio alla platea nazionalpopolare. Questioni secondarie che non pesano certo in negativo sulla reputazione della cantante e autrice, scomparsa per malattia nel settembre di dodici anni fa ma tenuta in vita dalle operazioni alla memoria organizzate da “GiuniRussoArte”, l’associazione fondata da Maria Antonietta Sisini, tra le quali numerosi album con incisioni altrimenti destinate all’oblio. Da un paio d’anni, chi visita Alghero – detta “Barceloneta”, perché vi si parla il catalano – può recarsi al Mirador Giuni Russo e guardare il magnifico mare della Sardegna perdersi verso le Colonne d’Ercole; chissà cosa ne avrebbe pensato, la piccola e inquieta Giuseppa, di un omaggio tanto bello.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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