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Fedele a chi, fedele a cosa? Considerazioni sparse su Giovanni Lindo Ferretti

Si parla sempre tanto dell’ex frontman di CCCP Fedeli alla linea, CSI e PGR, molto più per quel che dice che per ciò che canta. Al coro scomposto, aggiungo anche la mia voce.
A cura di Federico Guglielmi
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Non ricordo esattamente quando ho conosciuto – di persona, intendo; per quanto riguarda la musica, non ho difficoltà a rispondere “1984” – Giovanni Lindo Ferretti, ma a braccio direi una trentina d’anni; probabilmente è stato nel 1986, prima di un concerto romano dei CCCP Fedeli alla linea al Teatro Espero finito poi malamente in rissa, disordini e cariche della polizia. L’ho comunque incontrato parecchie volte, sia per ragioni strettamente professionali (nel mio archivio ho almeno quattro interviste, ma sono certo che ne esistano altre), sia in circostanze diverse; la più curiosa di tutte, uno “Speciale TG1” del 1986 dedicato alla musica in URSS, dove io ero a Roma con il conduttore Alberto La Volpe e lui assieme ad Antonella/Annarella Giudici negli studi RAI bolognesi, con il corrispondente Demetrio Volcic in collegamento da Mosca (tutto piuttosto surreale e, no, su YouTube non c’è). Insomma, sto parlando di qualcuno che ho avuto modo di “studiare” spesso, in varie fasi della sua parabola, potendomi così fare una parzialissima opinione. Sapendo di questa, definiamola così, “vicinanza”, amici e conoscenti non mancano di aggiornarmi con rara tempestività sulle questioni pubbliche che lo riguardano, meglio se per la vox populi – popolo che però, non va dimenticato, è bue, con tutto il rispetto per il pio quadrupede – sono sintomi di rincoglionimento o di presunto tradimento al Giovanni che fu illo tempore, quello del quale quasi tutti avevano capito assai poco; non dico che tale privilegio fosse toccato a me, sia chiaro, ma io avevo almeno la decenza di non commentare a sproposito.

Beh, volete sapere una cosa? Le cosiddette stranezze del Giovanni Lindo Ferretti da Cerreto Alpi, sessantaduenne da venti giorni esatti, mi hanno di rado sorpreso. Ammetto di aver trovato alcune sue affermazioni un tantino discutibili per quella che è la mia concezione del mondo, e di essermi talvolta domandato “chi gliel’ha fatto fare”, ma nessuno shock; anzi, quasi sempre mi sono scoperto a sogghignare, divertito, pensando alle facce che avrebbero fatto i tanti che si erano scandalizzati per l’accordo con la Virgin, il 45 giri di liscio e quello con Amanda Lear, il mini-tour di spalla di Jovanotti o il CD di preghiere… ma che, passata la stizza, erano tornati ad ascoltarlo e a pendere dalle sue labbra. L’ho visto dal vivo qualche settimana fa, il Nostro, nel contesto della rassegna “Eutropia”, declamare in stile muezzin le sue canzoni, accompagnato da musiche essenziali e senza nulla concedere alla (folta) platea che, adorante, lo applaudiva, ed ero felice di riscontrare ancora una volta in quale incredibile modo questo artista così atipico, schivo, spigoloso e inafferrabile abbia uno spazio tutto suo nella musica e nella cultura italiane, e sia una presenza di peso nell’immaginario collettivo di alcune generazioni. Com’è che cant(av)i, Giovanni? “Non fare di me un idolo mi brucerò / se divento un megafono m’incepperò / cosa fare non fare non lo so / quando dove perché riguarda solo me”, giusto? Beh, di te hanno fatto una specie di idolo e un megafono, forse anche un po’ non volendolo, lo sei diventato, eppure non ti sei né bruciato, né inceppato. O forse sì, ed è proprio per tale motivo che, secondo alcuni, “deliri”? No, non ci credo. E non credo nemmeno che tu stia delirando. Forse ti diverti a provocare, forse per uno che è sopravvissuto a quello cui sei sopravvissuto tu, certe cose vengono valutate come le cosette che in realtà sono, ma non è solo questo, non può esserlo.

Ci tengo a precisare che lo scopo di queste righe piuttosto inconcludenti non è giustificare le recenti dichiarazioni di Ferretti, figuriamoci: non mi competerebbe, e se lo facessi lui sarebbe capace di mandarmi cordialmente affanculo. E non è nemmeno “difenderlo” in virtù di un rapporto di amicizia, perché se davvero fossimo amici mi avrebbe concesso la nuova intervista che gli chiedo da svariati anni e che lui, fedele alla linea, continua a negarmi. L’intento è ribadire come il personaggio, al di là delle spesso travisate contingenze, continui a emanare un fascino pressoché irresistibile: come autore di testi fra i più personali e intensi della musica italiana, è ovvio, e come cantante non meno originale, ma anche come comunicatore di raro magnetismo. Ho riletto un po’ delle riflessioni e delle bellissime parole che Giovanni ha voluto regalare al mio registratore in tutti questi anni, sulle quali prima o poi finirò per costruire un libro, e mi è saltata fuori questa, AD 2002, riferita ai primi passi dei CSI: “Quando le cose devono accadere, accadono: si deve solo capire cosa sta succedendo, mettere a posto i dettagli, e tutto funziona al meglio". Magari un giorno si riuscirà ad afferrare Giovanni Lindo Ferretti, ma ora come ora è forse il caso di concentrarsi, benché non sia facile, sul capire cosa stia succedendo.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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