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Fabi Silvestri e Gazzé, l’amore non esiste ma vince sulla pioggia

All’Arena di Verona va in scena il penultimo giorno di scuola dell’intenso tour dei tre artisti romani. E non c’è perturbazione che tenga: la pioggia, data per certa alla vigilia, finisce con l’inizio e riparte alla fine del concerto, quasi fosse una forma di rispetto.
A cura di Andrea Parrella
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La pioggia è portatrice sana di segnali. Viene molto più facile notare le coincidenze, le casualità e le insolite corrispondenze quando c’è di mezzo un cielo livido e carico di rovesci sparsi. Come quello che sovrastava l’Arena di Verona nella serata in cui Fabi, Silvestri e Gazzé si sono concessi l’ennesima rimpatriata tra amici (è proprio così, inutile negarlo), per la penultima tappa del loro tour. L’ultima, quella definitiva, ci sarà nella Roma che li ha visti nascere, il 30 luglio, ma sarà solo il secondo atto conclusivo di un rituale che il 22 maggio si è palesato in tutta la sua potenza emotiva.

Si diceva della pioggia, prevista e annunciata dalle più autorevoli fonti come praticamente certa. Godono i venditori di impermeabili prima del concerto e la loro presenza è legittimata dai tre cantanti che, a poche ore dall’inizio della serata, annunciano che tutto si farà, indipendentemente da quello che il cielo riserverà. Il tempio è pieno, sono arrivati fan da tutta Italia e i tassisti lo ribadiscono con una certa sorpresa. Il timore che un’acqua incessante possa rovinare tutto c’è, ma arriva un momento in cui comincia a prevalere un’altra sensazione. Si tratta di quella strana alchimia di fattori a cui crederesti se ci credessi. Pare un circolo virtuoso messo in moto dalla forza di volontà, commista a speranza, di tutti i presenti. Fatto sta che quando Max, Niccolò e Daniele attaccano con “Alzo le mani”, la proverbiale pioggia londinese, sedicente impercettibile e per questo fastidiosissima, si placa, si arresta all’istante. Le luci spente rendono il cielo ancor più palesemente ricolmo di pioggia scrosciante, ma solo potenziale. Perché la pioggia non cade, per una strana e assurda forma di rispetto.

Sul palco c’è in atto una festa, un principio di commiato da penultimo giorno di scuola annichilisce il senso del dovere dei musicisti e dei tre protagonisti. Si danno completamente e un pubblico pronto a perdonargli anche qualche imprecisione lo percepisce, partecipa alle loro gag e agli intermezzi parlati come si fosse al bar. Perché la verità è che questo tour è stato un grande lavoro di sintesi e cesellatura, che una volta fatto si esegue apparentemente a braccio, con la tranquillità di chi strimpella nel club romano in cui i tre si sono conosciuti, 25 anni fa circa. La lirica affabulatoria e metaforica di Gazzé, quella più strettamente poetica di Silvestri e quella esperienziale ed emotiva di Fabi, si incontrano definitivamente in una terra di mezzo dove possono coesistere, senza apparenti conflitti.

E alla fine l’entusiasmo ordinato dell’Arena di Verona vince contro la perturbazione, così come l’amore vince sempre sull’odio. Lo spettacolo si chiude come si era aperto e quando finisce “Il padrone della festa”, ecco che la pioggia può cominciare a scorrere. Magicamente, si direbbe, se uno a queste cose ci credesse davvero.

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