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Dieci canzoni che devi ascoltare se hai vent’anni oggi

Una playlist estiva che racconta vari aspetti di quell’età piena di contraddizioni che dovrebbe condurre – ma non sempre è così – dalla giovinezza alla maturità. Per sorridere, per rimpiangere e magari anche per riflettere un po’.
A cura di Federico Guglielmi
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Perché a vent’anni è tutto ancora intero/perché a vent’anni è tutto chi lo sa, a vent’anni si è stupidi davvero/quante balle si ha in testa a quell’età”. Il concetto esposto da Francesco Guccini in “Eskimo”, AD 1978, è identico a quello che gli Zen Circus hanno riassunto tre decenni esatti dopo, in modo meno ricercato ed evocativo e ben più diretto, in “Vent’anni”: “Io quando avevo vent’anni ero uno stronzo”. È indubbio che in quel periodo di crescita le fesserie siano all’ordine del giorno, ma c’è anche parecchio altro. Senza alcuna pretesa di esaustività, ho dunque scandagliato il mio archivio alla ricerca di canzoni italiane abbastanza recenti dedicate a quegli anni meravigliosi e difficili che portano ai fatidici venti. Alcune divertono, altre commuovono, altre intristiscono… proprio come la post-adolescenza, no?

Zen Circus – Vent’anni (2008). Vivaci, acuti e iconoclasti come da copione, Appino, Ufo e Karim – con Brian Ritchie dei Violent Femmes come ospite d’onore – giocano con un tot di luoghi comuni legati alla vita quotidiana dei ventenni medi di loro conoscenza, tracciando un identikit che fa sorridere ma con un retrogusto amaro. Poco meno di due minuti di folk sgangherato che si potrebbero definire “catartici”, e che in concerto sono sempre accolti con enorme entusiasmo.

I Cani – Hipsteria (2011). Una fotografia stile polaroid, un po’ come quelle del bel video ufficiale, di una generazione confusa dai tanti (troppi?) input e dai falsi miti, cui il benessere economico non consente di acquistare la certezza di ciò che si è e la consapevolezza di cosa si desideri davvero. Una disamina in fondo più agra che dolce, fra canto pacato e suoni elettronici incalzanti, ben riassunta da un verso come “tu fumavi ed ostentavi una malinconia/che male si intonava coi tuoi leggings fluorescenti”.

Baustelle – Charlie fa surf (2008). Fra i numerosi brani nei quali i Baustelle hanno trattato con toni spesso nostalgici la controversa fase della giovinezza, spicca il ritratto di Charlie, quindicenne felicemente (?) perso nel suo mondo di surf, chitarre elettriche, skate, porno e pasticche. Testo eloquente e musica altrettanto efficace, con il suo mix di energia rock’n’roll e accattivanti melodie pop sul quale si innestano perfettamente la voce “distaccata” di Francesco Bianconi e i cori di Rachele Bastreghi.

Punkreas – Voglio armarmi (2000). A quindici anni o giù di lì si è spesso incazzati, e non è poi tanto inusuale avvertire il desiderio di impugnare una pistola e sparare nel mucchio. Da noi procurarsi un’arma è difficile, ma negli Stati Uniti è un gioco da – appunto – ragazzi, e le conseguenze sono quelle che troppo spesso vanno a costituire materia da telegiornali. Con la loro caustica ironia, che si rispecchia nel video disegnato da Davide Toffolo, i Punkreas criticano questa follia tutta americana a colpi di hardcore-punk melodico.

Litfiba – Ragazzo (1990). Classico del rock italiano degli anni ’90 e oltre, è dotato di una forza magnetica alla quale non si può resistere. Un piccolo, grande inno in bilico fra intimismo e solennità, che suona come una disperata richiesta di attenzione – “Sono un ragazzo / ricordatevi che esisto / Sono il re del nulla / mentre il nulla ruba i migliori”: è facile leggerci un riferimento a Ringo De Palma, batterista del gruppo morto poco prima di droga – per chi è schiacciato da una società feroce, in mille modi.

Numero 6 feat. Colapesce – Un mare (2012). Il testo recita “Se la nostalgia
vuol fare improvvisate a casa mia /
si accomodi ma sappia
che sarà trattata con superficialità /
pertanto
i ricordi no non li vogliamo uccidere però
/ con molta forza qui si guarda avanti e nonostante tutto
la fiducia stringe i denti”, ma questa delicatissima canzone è comunque intrisa del sapore del rimpianto per quando si era più giovani e più felici. “Nell’estate di sedici anni fa / c’era un’altra velocità / Pochi obblighi e tante verità”. Insomma, una specie di elegia.

Fast Animals And Slow Kids – Come reagire al presente (2014). Il titolo non ha punto interrogativo, e ciò farebbe supporre che con il brano non si intenda formulare una domanda, bensì fornire una risposta. Non quella risolutiva che si vorrebbe sentire, perché quelli che sono ormai i più credibili alfieri del nostro post-emocore non vogliono ergersi a messia, ma è un dato di fatto che con questo pezzo a risuonare alto nelle orecchie è facile convincersi, nonostante la malinconia che brucia come lava, della possibilità di un’alternativa.

Tre Allegri Ragazzi Morti – Occhi bassi (1999). Il gruppo di Davide Toffolo nacque proprio per celebrare alla sua maniera la magia – e all’occorrenza certi piccoli e grandi drammi – della gioventù, e il suo repertorio abbonda logicamente di canzoni incentrate sul tema. Una delle più toccanti è questa ballata dalle aggraziate, squisite armonie filo-Sixties, che con grande semplicità e sensibilità descrive i pensieri di una ragazzina incompresa e insicura come quasi tutte le sue coetanee. Arduo non innamorarsene.

Carmen Consoli – Mio zio (2009) Una storia di infanzia e adolescenza plagiata e violentata, quella che Carmen Consoli narra senza peli sulla lingua ma poeticamente, tra irruenza rock ed echi folk, in una delle sua più aspre e disturbanti canzoni-denuncia. Si parla di un abuso sessuale subito in famiglia, del coraggio di denunciarlo pubblicamente, della consapevolezza di aver compiuto la scelta giusta in spregio ai molti che avrebbero preferito un omertoso e più “comodo” silenzio. Gioventù, purtroppo, può significare anche questo.

Assalti frontali – Avere vent’anni (2011). Per fortuna non tutti i ventenni sono votati a fancazzismo e qualunquismo, e Assalti Frontali – veterani dell’hip hop nazionale, ancora sulle barricate – chiamano a raccolta la parte sana della generazione. “Daje forte, daje, niente melodrammi / daje forte, daje, perché abbiamo vent’anni / daje forte, daje, perché avere vent'anni è avere sogni grandi / yalla allez, vent’anni sono tanti / e li paghiamo in contanti / ma sono anche pochi, i sogni vanno inseguiti, mai traditi / su i cuori, banditi”.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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