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Davide Tosches: visioni e contemplazioni

È in uscita il nuovo album di uno dei più originali esponenti della nostra canzone d‘autore. Uno di quelli che a trucchi e vuoti sensazionalismi preferisce, semplicemente, la sostanza.
A cura di Federico Guglielmi
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Davide Tosches
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Davide Tosches non è il solito cantautore di area più o meno classica, e neppure l‘ennesimo esponente dell‘ampia cerchia – tanto apprezzata nel giro indie – del "famolo strano". Segue invece una sua particolare e personale linea espressiva, che ha com‘è logico le sue influenze ma che è inscindibile dal temperamento e dal vissuto di questo artista non attempato ma neanche giovanissimo, che abita in campagna nei dintorni di Torino e che sul suo profilo Facebook si definisce “cristiano agreste non cattolico”. Recensendo il suo ottimo primo album ufficiale, "Dove l‘erba è alta" del 2009, ebbi a scrivere che il suo ambito è quello di “un folk dell’anima fortemente evocativo, sviluppato in ballate morbide e ipnotiche che ad atmosfere non proprio solari – ma neppure troppo cupe – legano soluzioni anche imprevedibili e positivamente stranianti: scarne e allo stesso tempo ricche di elementi (e stimoli), le canzoni sfuggono le trame di facile presa e vanno a porsi in una dimensione tutta loro, resa ancor più onirica da una voce che ai toni spinti preferisce caldi, autorevoli sussurri. Un po’ Nick Drake e un po’ Nick Cave. O magari, rimanendo nei confini nazionali, un possibile trait d’union fra Massimo Bubola e i Bachi da Pietra, o una versione meno torbida e più bucolica del Fausto Rossi dei ‘90”. Una descrizione che mi sembra tuttora centrata, che con il senno di poi integrerei solo con un riferimento al blues, inteso più come feeling che come genere.

Con il successivo “Il lento disgelo”, del 2012, Davide Tosches aveva operato un aggiustamento di rotta, non rinnegando le sue visioni psycho-folk ma optando per qualcosa di meno etereo e più ricco e marcato sul piano ritmico e canoro: una scelta con una sua ragion d‘essere che aveva parzialmente normalizzato – non nei bellissimi testi, però – la poetica del musicista piemontese, sottraendole forse un po' di fascino. “Luci della città distante”, nei negozi il 13 maggio, ratifica invece il recupero di uno stile essenziale affine a quello dell‘esordio, magari appena più jazzy, peraltro impreziosito dai ceselli di numerosi collaboratori e ospiti. Ecco dunque arrangiamenti che, secondo il co-produttore artistico GianCarlo Onorato – tornato non a caso in cabina di regia, come per “Dove l'erba è alta” – “accolgono anche il silenzio come misura musicale utile”, in un misurato ma intensissimo intrecciarsi di chitarre e archi, percussioni e tromba, flicorno, e organo, contrabbasso e piano Wurlitzer. Il tutto a sostegno di una voce sommessa ma magnetica che intona versi ispirati direttamente dalla magia della natura: titoli quali “L‘autunno”, “Il primo giorno d‘estate”, “Il canto del ghiro”, “L‘airone”, “Il calabrone” o “Mattino presto” non lasciano dubbi al proposito, suggerendo l‘idea di una sorta di “rapimento mistico e sensuale”, per dirla con Franco Battiato.

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La cover di "Luci della città distante"

Come i suoi due predecessori, “Luci della città distante” avrà il marchio dalla Controrecords, l‘etichetta davvero alternativa della quale Tosches è ideatore e padrino che ha in catalogo una ulteriore dozzina di dischi di solisti e gruppi quali Stefano Amen, Mezzafemmina, Giancarlo Frigieri, Banda Fratelli e Paolo Rigotto. Più che mai significativo il suo manifesto di intenti. “Noi le cose le facciamo ancora a mano. E non è uno scherzo. I dischi li facciamo col cuore e i contratti con una stretta di mano, come una volta. Ci piace così, e stiamo andando bene, stiamo seguendo la nostra visione semplice ma forte, senza sterili discografici tra i piedi, senza strategie di marketing virali, senza l‘attenzione alle visualizzazioni e al numero di contatti sui social network. Per noi la musica è la prima cosa, ma le persone e i valori che condividiamo con esse sono importanti allo stesso modo. Non ci interessano le mode, ci interessa invece interrompere il silenzio con la musica solo se ne vale veramente la pena, per quello pubblichiamo solo dischi di artisti che hanno una reale urgenza di comunicare, artisti che hanno una visione personale e genuina. Poi, gli altri facciano un po' come gli pare, noi facciamo così”. Un approccio controcorrente (appunto!) al quale non possiamo che dare la nostra incondizionata adesione.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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