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‘Canzoni della Cupa’, il viaggio nelle radici di Vinicio Capossela

I dischi di Vinicio Capossela hanno alle spalle una genesi avventurosa e, di solito, piuttosto lunga. Non fa eccezione alla regola l’imponente “Canzoni della Cupa”, nei negozi da domani 6 maggio.
A cura di Federico Guglielmi
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Vinicio Capossela non ama fare le cose alla carlona. Capita che possa avviare qualcuno dei suoi mille progetti spinto dal raptus creativo del momento, ma potete star sicuri che, se va immediatamente fino in fondo, significa che l’idea gli era esplosa in mente con più o meno tutti i dettagli e non come semplice intuizione grezza; se invece qualcosa non gli torna… beh, garantito che si prenderà tutto il tempo che gli occorre per il suo migliore sviluppo. Non a caso dall’ultimo album, “Marinai, profeti e balene”, è trascorso addirittura un lustro (il “Rebetiko Gymnastas” del 2012 non era un vero disco di brani nuovi), non a caso per dare veste definitiva a ‘Canzoni della Cupa‘ – in uscita per La Cupa/Warner il 6 maggio – ha impiegato una buona dozzina d’anni. Non c’entra la pigrizia, non c’entrano genio e sregolatezza, non c’entra l’eventuale (improbabile) carenza di ispirazione; il punto è che, per Vinicio, quest’opera monumentale – quattro LP in edizione limitata o un ben meno costoso CD doppio – ha un significato ancor più speciale del solito, essendo un autentico viaggio sentimentale nella memoria e nelle radici. Non solo musica e non solo cultura, ma anche cuore. Tanto cuore. E quando c’è di mezzo “lui”, si sa, è facile che si tentenni per il timore di non esprimere in modo adeguato ciò che si prova. ‘Pur non essendo stato fermo in un unico posto, ho un forte senso di appartenenza alla storia e alla saga della mia tribù', mi disse Vinicio in una torrenziale intervista di inizio 2003, ‘ma senza eccessi: i luoghi sono belli ma non quando sono più grandi di te, perché in quel caso si finisce per esserne soffocati, per essere confusi con ciò che quei luoghi esprimono'. Forse, il problema è stato proprio quello di capire come raccontare al meglio quei luoghi e quelle antiche storie, le stesse alle quali l’artista si è ispirato per ‘Il paese dei coppoloni', il suo libro del 2015. Libro che in qualche misura già esisteva, benché solo a livello teorico, al tempo della summenzionata intervista. ‘Le mie origini sono nel paese dei coppoloni, dei grossi copricapi che tutti indossano tanto d’inverno quanto d’estate: insomma, nella valle dell’Ofanto, una terra franosa e instabile così come sono franosi e instabili i suoi abitanti, gente aquilina che ‘vede’ nelle nuvole e nei boschi, gente selvatica che gira all’incontrario ballando quadriglie e cinquiglie, gente dotata di enorme inventiva e dunque grandi raccontatori di frottole. Gente cui il mondo è sparito all’improvviso, gente smazzata da una palla di biliardo per l’Europa che però è rimasta avvinta alle proprie radici'.

‘Canzoni della Cupa' è, naturalmente, un concept, suddiviso in due sezioni diverse e complementari. ‘Polvere' comprende sedici tracce ed è scabra e scarna, ‘Ombra' ne mette in fila dodici ed è più ricca e complessa: quindi, due facce della stessa medaglia. La prima è fondamentalmente “folk”, un po’ come nelle incisioni sul campo di Alan Lomax o nei dischi di Woody Guthrie, ma in un contesto italiano e meridionale; non è difficile riscontrarvi punti di contatto con l’esperienza di Matteo Salvatore, uno dei maestri della musica popolare della Penisola e “modello” che Capossela riconobbe sempre nella nostra chiacchierata di tredici anni fa. ‘È il solo in cui avverto una potenza evocativa della mia infanzia, forse l’unico in grado di far cantare il silenzio e di far sentire l’eco dei lupi mannari nella polvere della strada, il suono del selciato del paese, l’abbaiare e il guaire dei cani'. Magari l’intento non era esattamente questo, ma ‘Polvere' sembra davvero un omaggio alla tradizione, una raccolta di filastrocche tramandate oralmente per decenni se non secoli che funge da premessa, se così la si vuol definire, ai brani assai più articolati di ‘Ombra'; brani che si avvalgono di architetture strumentali più varie ed eclettiche – il “cast” dei collaboratori italiani e stranieri è impressionante – e che si pongono quale più quale meno sulla scia, ma con il senno di poi, di quelli del Vinicio “classico” de ‘Il ballo di San Vito' o ‘Canzoni a manovella'. Un motivo di gioia, si suppone, per coloro che hanno trovato un tantino ostiche le prove più recenti, quelle da ‘Ovunque proteggi' in poi.

Alla natura duplice dell’album rendono piena giustizia i due singoli con relativi video finora diffusi, rispettivamente il 29 gennaio e oggi: ‘Il Pumminale' è una perfetta cartina al tornasole della poetica di ‘Ombra', così come ‘La padrona mia' incarna – mostrandone però il volto più accattivante – quella di ‘Polvere'. A scanso di equivoci, non si pensi però a una dicotomia conflittuale tra le scalette dei due dischi: l’approccio non è lo stesso e senza dubbio la seconda offre più stimoli musicali della prima, ma ‘Canzoni della Cupa' va affrontato come un “unicum”; e che ‘Ombra', nel caso si una (innaturale) separazione, sarebbe stato molto più appetibile sotto il profilo commerciale di ‘Polvere', è un discorso ozioso, da fare “a latere” e a voce bassa. Al di là di ogni altra considerazione accessoria, è comunque bello verificare ancora una volta con quanto carattere, coraggio e qualità Vinicio Capossela riesca a concretizzare in parole e musica le sue particolari visioni, ed è confortante riscontrare come anche il pubblico nazionalpopolare, che di norma preferisce proposte ben più dozzinali se non becere, sia disposto a seguirlo nel suo avventuroso e affascinante percorso. Percorso del quale ‘Canzoni della Cupa' è, lo si sarà capito, tappa imprescindibile.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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