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Bobo Rondelli: il pop d’autore che lascia il segno

Ogni volta che ritorna su disco, e da un po’ di anni accade spesso, il cantautore livornese riesce a lasciare il segno in chi lo ascolta. L’ultimo “Come i carnevali” non costituisce eccezione alla bella regola. Anzi.
A cura di Federico Guglielmi
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Bobo-Rondelli
La copertina di ‘Come i carnevali' di Bobo Rondelli
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Non lo so mica, quante volte ho scritto di Bobo Rondelli. Un bel po', in ogni caso. Probabile che abbia persino recensito il suo primo disco, quando guidava i Les Bijoux e assieme al repertorio autografo in inglese interpretava brani in qualche modo indicativi della sua personalità quali “I’m A Loser” dei Beatles e ”Come On” di Chuck Berry (sono entrambi nel 33 giri “My Home”, AD 1988), ma per esserne certo dovrei immergermi nell’archivio cartaceo e ciò mi spaventa. È però sicuro che cinque anni dopo ho lodato il suo esordio in italiano, quando la band – ribattezzatasi Ottavo Padiglione, come il reparto psichiatrico dell’ospedale della Livorno che al Nostro ha dato i natali – si era dedicata a un pop-rock tanto fascinoso quanto surreale e all'occorrenza pungente; ricordo benissimo come fosse adorato da Alberto Pirelli, il produttore storico dei Litfiba che aveva caldeggiato l’accordo con la EMI, e ricordo lo stupore provato quando nel 1999, al terzo album, il gruppo aveva sterzato con decisione verso il reggae. Non ho invece memoria di come nel 2001 mi trovai a redigere la presentazione dell’artista e del personaggio pubblicata nel libretto di “Figlio del nulla”, certificato di avvio della carriera da solista: 1760 caratteri dei quali vado tuttora orgoglioso, benché nei confronti di qualsiasi parola uscita dalla mia tastiera sia maledettamente critico.

Il tempo, si sa, cambia le cose, e oggi quella presentazione non sarebbe del tutto a fuoco. Da allora, del resto, Bobo non è rimasto fermo. Ha attraversato un periodo di pur relativa stasi dopo il “Disperati intellettuali ubriaconi” realizzato nel 2002 in stretta collaborazione con Stefano Bollani e il ritorno degli Ottavo Padiglione documentato da “Ultima follia / Best a bestia” del 2003, ma è poi divenuto un campione di regolarità: “Per amor del cielo” nel 2009, “L’ora dell’ormai” nel 2011, “A Famous Local Singer” nel 2013 (il titolo non tragga in inganno: i pezzi non sono in inglese) e ora “Come i carnevali”, edito da una settimana esatta dalla Picicca – etichetta nella cui scuderia figura, fra gli altri, Brunori SAS – con distribuzione Sony. Aggiungendo le esperienze come attore e doppiatore, un gran bel ruolino di marcia, che ha dato al cinquantaduenne cantautore una maggiore visibilità e l’ha aiutato ad affrancarsi dai paragoni, lusinghieri ma alla lunga riduttivi, con l'illustre collega e concittadino Piero Ciampi. È meno caustico, il Rondelli di questa nuova fase, più addolcito anche se sempre vulcanico, e musicalmente più vicino – alla sua maniera, comunque – alla canzone italiana “classica”, popolare ma di qualità. Più che al summenzionato Ciampi, a tratti viene da pensare a un Gaber o uno Jannacci, naturalmente cresciuti in Toscana.

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Ed è un altro toscano, Francesco Bianconi dei Baustelle, ad aver cofirmato il singolo “Cielo e terra”, che avrebbe fatto la sua figura – ok, non era difficile – all'ultimo Sanremo. Non il momento più scintillante, peraltro, di una scaletta di dieci tracce dall'ispirazione piuttosto eclettica tanto sul piano della scrittura, quanto in arrangiamenti raffinati ma sobri cui la produzione di un esteta dalla grande anima come Filippo Gatti ha conferito ulteriore fascino. Gli apici sono forse nelle toccanti “Qualche volta sogno” e “Nara”, dedicate rispettivamente al padre e alla madre, ma fatto salvo che la vena più “storta” fa capolino quasi solo nella briosa “Ugo’s dilemma”, il resto di “Come i carnevali” distilla con grande efficacia pop incisivo ed evocativo, senza sdolcinatezze né eccessi di quella teatralità che è tuttavia impressa nel DNA rondelliano. Frammisto di citazioni al cinema e letteratura; piace menzionare “Autorizza papà”, elettrica e incalzante ma dal testo giocoso, e la delicata e sfacciata “La ventenne”, ma pure la title track di apertura e la “Maestro Goldszmit” di chiusura, ambedue esoticheggianti, non lesinano in suggestioni. L’attenzione finora già raccolta dalle nuove canzoni fa pensare che, magari, Bobo Rondelli potrebbe finalmente portare la sua notorietà a livelli più consoni al suo talento. Glielo auguriamo, di cuore.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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