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Bandabardò: la coerenza paga

Dopo oltre vent‘anni di carriera e mille concerti, arriva il nuovo disco di uno dei gruppi più personali del nostro rock. Che, pur cambiando, rimane sempre se stesso.
A cura di Federico Guglielmi
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Bandabardò
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La Bandabardò esiste ufficalmente da ventun'anni e tre mesi e vanta una discografia piuttosto frastagliata comprendente un paio di live, un'antologia, un “mini” inciso con altri e una strana raccolta di tagli, ritagli e frattaglie. Il conto degli album “veri” – insomma: i lavori di studio con canzoni nuove – si ferma invece a otto ed è così da una settimana, ovvero da quando allo “Scaccianuvole” del 2011 ha fatto seguito “L‘improbabile”. L‘ultimo arrivato non è un disco come gli altri, essendo il primo edito dalla major Warner: una sorpresa, giacché da anni quasi ogni artista con una solida fanbase si appoggia a una delle poche multinazionali superstiti solo per garantirsi una migliore distribuzione e non firmando il classico contratto, non tanto per timore di perdere la propria integrità stilistica (ormai scontata, a patto di non essere davvero sprovveduti) quanto perché una gestione indie se non addirittura autarchica permette di controllare al 100% ogni aspetto della carriera e ottenere introiti maggiori. Una scelta, quindi, in controtendenza. E dire che nel novembre del 2002, in un'intervista realizzata ai tempi dell'uscita di “Bondo! Bondo!”, Enrico “Erriquez” Greppi – che del gruppo fiorentino è da sempre il frontman – mi aveva confidato che ”c’è la soddisfazione di aver vinto la scommessa fatta nell’abbandonare il mondo delle major e lavorare con una struttura indipendente sia come produzione che come distribuzione. È bello essere padroni di se stessi e accorgersi di come, con meno soldi ma investiti benissimo, si possa andare molto avanti”. I precedenti due album della Banda, “Iniziali bì-bì” del 1998 e “Mojito Football Club” del 2000, erano stati infatti marchiati dalla BMG Ricordi.

Cambiare idea è comunque legittimo e certo non costituisce un tradimento (ma di cosa?). L'importante è che il livello qualitativo non cali, e in questo senso “L‘improbabile” non delude. La Bandabardò è rimasta la Bandabardò, con le sue sonorità prettamente acustiche, il suo folk-rock-pop ricco di fantasia, la sua capacità di unire sostanza (musicale e dei temi trattati) e leggerezza, i suoi colori tenui ma incisivi, l'inconfondibile canto aggraziato di un Erriquez dal pizzetto sempre più lungo, le sfavillanti chitarre di Finaz e Orla, il basso rotondo di Donbachi e la batteria estrosa di Nuto, le belle sfumature tinteggiate da Ramon (percussioni e tromba) e Pacio (tastiere), non dimenticando i contributi del fonico Cantax che, caso più unico che raro, compare spesso nelle foto promozionali. Tutto già ascoltato negli ultimi due decenni ma tutto diverso, com'è in fondo normale per un ensemble che, avendo trovato una formula personale e riconoscibile, preferisce i piccoli scarti ai bruschi mutamenti di rotta.

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Educati e raffinati, ma non rinunciando ad assecondare qua e là la loro esuberanza e la loro verve un po' fricchettona, gli eterni ragazzi hanno estratto dal cilindro tredici brani che solo in qualche circostanza – “Ai miei tempi” e “Andrà tutto bene”, dalle atmosfere esoticheggianti e dai cori bruttarelli assai – sono definibili come “cadute di tono”, categoria nella quale si potrebbe inserire anche l'inutile divertissement della cover di “Ça plane pour moi” (del belga Plastic Bertrand, nel 1977 hit su scala mondiale). Tutto il resto, però, funziona, dall'ipnotica “Senza impegno” che inaugura la scaletta alle delicate “E allora il cuore” (il singolo apripista, ospite Alessandra Contini de Il Genio) e “C‘è sempre un buon motivo”, dalle filastrocche più o meno policrome “Punti di vista”, “La selezione naturale”, “Buon anno ragazzi” e “Sbuccio” alle vivaci “Italian Expo”, “La vestizione” e “I briganti”. Il consueto mix di freschezza e cesello, screziato a volte di garbata ironia, cui fungono da azzeccato biglietto da visita i disegni dell‘artwork firmati da Jacopo Fo. Curioso che più di un estimatore di vecchia data rilevi un'eccessiva morbidezza, mentre i musicisti affermano convinti che “L‘improbabile” è l'album che più di ogni altro rispecchia quanto propongono nel loro habitat naturale, ovvero il palco.

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Federico Guglielmi si occupa professionalmente di rock (e dintorni) dal 1979, con una particolare attenzione alla musica italiana. In curriculum, fra le altre cose, articoli per alcune decine di riviste specializzate e non, la conduzione di molti programmi radiofonici delle varie reti RAI e più di una ventina di libri, fra i quali le biografie ufficiali di Litfiba e Carmen Consoli. È stato fondatore e direttore del mensile "Velvet" e del trimestrale "Mucchio Extra", nonché caposervizio musica del "Mucchio Selvaggio". Attualmente coordina la sezione musica di AudioReview, scrive per "Blow Up" e "Classic Rock", lavora come autore/conduttore a Radio Rai e ha un blog su Wordpress, L’ultima Thule.
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